lunedì 24 ottobre 2016

Quel luglio con la nebbia - l'eccidio del Colle del Lys


QUEL LUGLIO CON LA NEBBIA
L’ECCIDIO DEL COLLE DEL LYS



L’aria gelida penetra nelle ossa. Il sole è alto, ma non caldo oggi e va a riflettersi su quel manto bianco che copre le montagne tutte intorno. Lo spettacolo è immenso, incredibile, gelido. Non si ode una voce, un rumore, solo il vento. Non si vede anima viva, non si sente alcun odore se non quello della fredda aria.
Dal centro della piazza tutto si può vedere, basta roteare il corpo fino a spingere gli occhi su, per il Monte Arpone. Dal Colle del Lys la vista è stupenda, quella Torre Circolare che ti annuncia di essere arrivato alla meta. Quella Torre circolare simbolo di guerra, speranza, infamia, storia. Quella Torre Circolare posta verso la Vale di Susa, dalla parte opposta di quella Valle di Viù dove una fossa comune, tanti anni prima,ha raccolto i corpi di 32 giovani uomini periti proprio su questo colle tanto amato dai valligiani, dagli escursionisti, dai ciclisti.

Si sente ancora quell’atmosfera di disfatta, di resa, di cotanta cattiveria che ha animato la notte tra il primo e il due di luglio del 1944, notte in cui, avvolti da una strana ed estiva nebbia, i partigiani della diciassettesima Brigata Garibaldi si sono scontrati con le truppe nazifasciste.
Uno sparo singolo, poi una raffica, questo fu l’inizio di uno dei più devastanti rastrellamenti contro le brigate garibaldine che si trovavano nella zona. Difficile fuggire, dove? Nei boschi, su in montagna,tra quella nebbiolina, ma troppi i mille tedeschi e fascisti per tentare un attacco. Ed allora l’unico ordine possibile fu ripiegare… nove vennero uccisi subito, ventitré catturati, torturati e trucidati.

Solo il quattro di luglio del 1944, quando tutto era ormai passato, anche il più grande dei mali, alcuni partigiani aiutati da contadini e da parroci della zona poterono seppellire i poveri ragazzi.
L’eccidio del Colle del Lys viene ricordato tutti gli anni, una lunga fiaccolata notturna ricorda quell’alba, quella notte senza una fine in cui vennero calpestati i sogni di giovani uomini.
Dal centro della piazza tutto si può vedere, basta roteare il corpo, la Torre Circolare, sorta per ricordare non solo quel due di luglio, ma tutte le 2024 persone cadute durante la Resistenza e appartenute alle Brigate Garibaldi, l’Ecomuseo della Resistenza Carlo Mastri e la via che conduce verso Niquidetto, proprio dove ancora oggi riposano i corpi e le anime di quei combattenti.
Solo il silenzio. Solo il silenzio è l’eterna testimonianza di questo scorrere del tempo, di quel tempo che sembra essersi fermato decenni fa e sembra voler e poter insegnare ai posteri qualcosa.Se solo imparassimo ad ascoltarlo, quel silenzio…





Luca B.

mercoledì 19 ottobre 2016

Asti


COMUNE DI ASTI

Come potete vedere dall’immagine qua sopra, lo stemma del comune di Asti è formato da uno scudo rosso con una croce d’argento. Sopra lo scudo è presente una corona utilizzata dai conti. Lo stemma è completato da due foglie di palma legate da un nastro rosso ed un cartiglio che riporta il motto latino “Aste Nitet Mundo Sancto Custode Secundo” che letteralmente significa “Asti risplende nel mondo per merito del suo Santo Custode Secondo”.  La sua origine è da ricercare nel periodo delle crociate, infatti molti astigiani ne presero parte nel 1202 e nel 1209. Lo stemma subì una trasformazione sotto il dominio napoleonico, dove lo scudo venne diviso in quattro parti, così recita un documento dell’epoca: “ Al primo inquartato a destra delle città di seconda classe, che è d’azzurro ad un N sormontato da stella raggiante d’oro, a sinistra di sabbia a tre lance antiche disposte in palo d’oro, al secondo campo d’azzurro e di rosso, dalla croce d’argento toccante gli orli, fondo blu, rosso cupo, bianco, giallo”. Lo stemma subì un cambiamento anche in epoca fascista, quando fu imposto il capo del Littorio.

lunedì 10 ottobre 2016

Dall'Olimpo alla Val D'Aosta



DALL’OLIMPO ALLA VAL D’AOSTA


Ogni tanto ci si chiede da dove derivi il nome di un luogo che abbiamo attraversato più e più volte. Nomi strani, semplici che non riusciamo però proprio a collocare in alcun modo in una precisa sfera a noi conosciuta.
E’ quello che mi è capitato, ad esempio,attraversando uno dei tanti paesi della Val d’Aosta, uno dei tanti con quel suono e quella parlata francese che ti rimane impressa e che porti la sera a casa. Montjovet! Montjovet è proprio uno di quei luoghi, di quei luoghi che, attraversati dalla Dora Baltea e dalla Statale 26, passano, corrono, volano via lasciando spazio e tempo ad altre mete magari più turistiche, alte, famose.
Eppure quel nome mi ha sempre fatto pensare a qualcosa di sacro, soprannaturale, divino. E questa è la sua storia….

Montjovet è un bel paese di quasi duemila anime, con quel fiume, la Dora, che mai come in questo tratto sembra così vivo. 2174 è la vetta più alta del comune, si tratta del Mont Lyan, maestoso, da cui si domina parte della valle stessa. Il territorio è attraversato da uno dei più importanti canali irrigui della Regione, il Ru d’Arlaz.
In epoca fascista il nome Montjovet venne cambiato, o meglio italianizzato,come quello di molti altri paesi, in Mongiove. Monte di Giove, quindi! Ma cosa c’entra la più grande divinità romana,
paragonabile allo Zeus greco, re dell’Olimpo, con questa terra?
Eppure Giove, come narra la leggenda, sembra essere quasi di casa qua, a Montjovet. I romani gli dedicarono un edificio di culto, nonché il monte sul quale quest’ultimo sorgeva, il Monte di Giove. Il tempietto, situato con ogni probabilità a Barmas era meta di pellegrini che qua pregavano la propria divinità. Ma Giove non è stato clemente, approfittando della propria forza e potenza amava terrorizzare gli abitanti del vallone di Peti-Monde, facendo di tutto per bloccare le acque del fiume, uccidendo poveri viaggiatori e viandanti, cercando di distruggere il piccolo borgo di Rodoz. Solo due angeli inviati da Dio riuscirono a placare gli animi di Giove schiacciando, nel vero senso della parola, la faccia della divinità su una roccia, sulla quale, si dice, sia stata impressa la usa immagine!

Leggenda o no, realtà o finzione, questo di Giove è uno dei tanti piccoli aneddoti che si possono udire in questo borgo, facente parte di questa chiusa vallata, dove il silenzio della quotidianità è interrotto soltanto dal lento via vai delle auto, dal fiume che lento scorre verso Torino e anziani, che fermi agli angoli delle vecchie case, non aspettano altro che raccontare ciò che il tempo ha raccontato a loro!




Luca B.

mercoledì 5 ottobre 2016

Piossasco



COMUNE DI PIOSSASCO


Leggenda vuole che sulle montagne nei pressi di Piossasco avesse la propria tana un drago. Il mostro durante la notte vagava fino a Torino portando dietro di sé una scia di cadaveri umani e animali. La gente era terrorizzata, finché un signore di nome Merlo, che faceva il mestiere del carbonaio, si prese la briga di uccidere il drago con l’aiuto dei suoi otto figli. Merlo, per l’impresa, si fece dare un toro tra i più feroci, nove sacchi di pane e nove botti di vino. Con i suoi figli mischiò il vino con il pane facendone un pastone da dare al toro che era stato fatto digiunare da diversi giorni. L’animale doveva servire come esca ed arma contro il drago, che infatti, incuriosito da quella strana presenza, uscì allo scoperto. Tra i due ci fu un scontro sanguinoso, con il toro che ebbe la meglio e ferì il drago che fuggì. Merlo e i suoi figli lo inseguirono, ma non riuscendolo a trovare diedero fuoco al bosco che stava là intorno. Da quel giorno del drago non si ebbero più notizie. Gli eroi furono ricompensati con un titolo nobiliare, inoltre la contea di Piossasco volle ricordare l’impresa inserendo nove merli nel proprio stemma. Tutt’oggi, come potete vedere dalla foto, nel gonfalone del comune di Piossasco, sono presenti dei merli.