mercoledì 29 ottobre 2014

Santuario del Todocco: quel luogo di pace e serenità



QUEL LUOGO DI PACE E SERENITA’!


Dove
Poche volte mi sento sereno. Sempre di meno. Quella sensazione di pace che dentro le quattro mura di casa o tra il traffico intenso della città non mi fa respirare. Eppure nel mio lento girovagare sono riuscito a scovare decine di luoghi che mi sono rimasti nel cuore, alcuni per la loro straordinaria bellezza, alcuni per la loro semplicità, altri per le persone che lungo le vie ho incontrato ed altri ancora per quel senso di pace e serenità che sono riusciti ad infondermi. Oggi vi racconterò proprio di uno di questi, nella speranza che molti di voi possano lasciare a casa nervi tesi e tuffarsi in una realtà ricca di serenità! Ciò che al giorno d’oggi più ci manca. Eccoci quindi a Pezzolo Valle Uzzone, un piccolo comune facente parte dell’Alta Langa e della Langa della Valle Bormida e Uzzone. Qua sorge a pochi chilometri a monte del comune il Santuario di Todocco.

Descrizione e Storia
Siamo a 700 metri sul livello del mare e la vista che si gode è qualcosa di piacevolmente sensazionale. La Langa è ai nostri piedi, la dominiamo, la ammiriamo, impariamo ad amarla. Ci troviamo in una zona di notevole importanza anche dal punto di vista storico, soprattutto una zona di passaggio sulla strada del sale dalla riviera ligure alla nostra regione. Per questo valico un tempo, dove ora sorge il Santuario,passavano i pellegrini che andavano verso Campostela.
Ma perché la costruzione di questo complesso? Tutto può essere riconducibile ad una leggenda che i contadini del luogo si sono tramandati nei secoli. La leggenda narra che una ragazza sordomuta stava pascolando il gregge proprio dove ora sorge il santuario, quando le apparve la Madonna che le disse di andare da suo papà e di pregarlo di costruire in quel luogo un pilone. A quelle parole la fanciulla guarì ed il padre costruì un pilone proprio dove la Madonna aveva poggiato i piedi!
La prima chiesetta fu poi edificata nella seconda metà del ‘700, ma la costruzione attuale risale agli anni ’30.

Perché andarci
Ciò che colpisce, oltre al panorama decantato più volte e quel senso di pace che si trova venendo quassù, è il bel portale del santuario, inaugurato solo nel 2007 e lavorato dall’artista Nani di Bergamo, classe 1928. Il portale è un insieme di bassorilieviin bronzo che raccontano la vita della Madonna. Inoltre sul colle adiacente, per chi vuole liberarsi completamente e fare una bella passeggiata, l’artistica via Crucis vi porta in cima al monte e aiuta i pellegrini a contemplare il Mistero della Redenzione operata da Gesù.

Curiosità
A breve distanza dal Santuario, già nel comune di Piana Crixia (Savona), in località Schenardo, è nata il 27 febbraio 1884 Margherita Rosa Vassallo. Il nome sicuramente vi dirà poco, ma la sua storia è legata al cognome del marito. Infatti nel 1907 trasferitasi a Torino, Margherita sposa Giovanni Bergoglio, dando alla luce il 2 aprile del 1908 Mario, il papà di Papa Francesco!

La storia che segue ormai la conoscono quasi tutti. I Bergoglio si sono trasferiti prima ad Asti, dove già risiedevano e il primo di febbraio 1929 migrarono in Argentina!  Che dire, oltre alla pace, al senso di libertà, alla spiritualità, il Santuario del Todocco avvolge attorno a sé storie e curiosità che non aspettano altro di essere ascolatate

mercoledì 22 ottobre 2014

La maledizione di Villa Melano

…le nostre storie



LA MALEDIZIONE DEI MELANO




Villa Melano è situata in cima il centro storico della città di Rivoli, posta sul versante sud della collina morenica su cui si erge il Castello. Intorno a questo edificio corrono decine di storie e di leggende più o meno veritiere, ma quella che la maggior parte delle persone del luogo conosce è una sola. 

Villa Melano fu costruita intorno al ‘600 allo scopo di ospitare un monastero di frati francescani. In seguito all’ascesa di Napoleone nel nord Italia, la villa passò nelle mani di diversi proprietari, per poi finire in quelle dei Melano. La figlia dei Melano aveva 14 anni quando fu promessa sposa ad un nobile, ma l’intento della ragazza era tutt’altro. Si era infatti innamorata di un inserviente della villa, poco più grande di lei. I due innamorati si vedevano di nascosto nel boschetto limitrofo, finchè la fanciulla non rimase incinta. I Melano decisero allora di nascondere il figlio del peccato all’interno della loro abitazione, la figlia venne data in sposa al nobile e l’inserviente continuò il suo lavoro nella villa e poter veder così crescere la sua creatura. Il tutto perdurò fino a quando il bambino compì sette anni. Allora la famiglia capì che non avrebbero più potuto nasconderlo e decisero di impiccarlo nella torre, lasciando lì il corpo abbandonato. Un giorno, la giovane figlia tornò a far visita ai genitori e di nascosto salì fino alla torre dove vide il cadavere del proprio figlio. Scioccata, abbracciando il bimbo si buttò dalla finestra. L’inserviente assistette alla scena. Sui Melano non si hanno più notizie da quel giorno. Nulla, da nessuna parte! Alcuni pensano che fu proprio l’inserviente a sterminare l’intera famiglia, ma niente di certo.


Quel che invece è certo è che tutti quelli che hanno fatto visita alla villa giurano di aver udito e visto avvenimenti inspiegabili. Vi propongo una testimonianza di una studentessa che ha avuto il coraggio di addentrarsi nel luogo: 
Era un freddo pomeriggio invernale e decidemmo di sfidare il mistero entrando a Villa Melano, a Rivoli, disabitata ormai da secoli. La leggenda narra che la figlia del proprietario si suicidò e il suo spirito vaga ancora per la casa... si pensa inoltre che vengano svolte,qui, messe sataniche.
Arrivati sul posto, muniti di torce, imboccammo una stradina ciottolosa alla fine della quale si innalza un grosso cancello. L'intrico della vegetazione antistante l'ingresso della villa incute già un po' di soggezione e l'occhieggiare tra le piante di siringhe e lacci emostatici ci invitò a muoverci con prudenza.
Moltissimi sono i segni all'interno delle stanze che fanno pensare a qualcosa di inquietante: altarini posticci, disegni e scritte inneggianti il diavolo, porte squarciate da colpi di accetta, tracce di fuochi... la luce esterna filtrava attraverso le piccole finestre, i pavimenti erano disseminati di calcinacci, vetri rotti, foglie e altri detriti, mentre dalle pareti brandelli di tappezzeria, penzolavano come pelle strappata.
In una delle tante stanze dello stabile un'immagine su un muro bianco toglie il fiato: l'ombra di un bambino impiccato è rimasta fotoincisa nel muro stesso. Al piano inferiore, in cui si può accedere tramite una scaletta, osservammo disegni di sacrifici umani, orrendi diavoli, numeri magici e tutto intorno... carogne di animali uccisi, prevalentemente gatti sacrificati a qualche oscura divinità.
Attraversata la villa imboccammo il sentiero che si inoltra nella fittissima vegetazione sul retro della villa. Arrivammo alle cappelle bunker dove l'immagine di un uomo murato vivo è rimasta "graffiata" sulla parete. Ormai le tenebre erano calate e improvvisamente sentimmo un suono di tamburi avvicinarsi sempre di più. Presi dal panico, scappammo, ma anche se non abbiamo mai saputo cosa successe da quel giorno abbiamo deciso di non tornarci mai più. Ma se non mi credete andate a verificare voi stessi...


La testimonianza appartiene ad una studentessa e ciò non mi stupisce. Entrare a Villa Melano era una sorta di iniziazione, una prova di coraggio che dovevi affrontare per forza se frequentavi le vicine scuole superiori, le stesse in cui mi sono diplomato. Ho scelto di proporvi questa testimonianza e non la mia,in quanto i miei ricordi, non avendoli scritti subito, sono un po’ sbiaditi. Ma un brivido ha percorso il mio corpo quando la studentessa ha parlato del rumore dei tamburi. Quei tamburili ho sentiti chiaramente anch’io e direi che sono stati la prova che mi sconcertò di più. 
Ora nessuno studente potrà più fare quell’avventuroso giro. Villa Melano è stata ristrutturata, all’interno soprattutto. Ma sono convinto che non basti aver dipinto qualche parete e tappato qualche buco per far svanire la leggenda che aleggia intorno al luogo…

mercoledì 15 ottobre 2014

Mombaldone: la perla della Langa astigiana



MOMBALDONE: LA PERLA DELLA LANGA ASTIGIANA

Dove
Anche noi, come tutte le Regioni d’Italia, possiamo vantare di avere alcuni tra i borghi più belli del Paese. Forse non sarà la scelta o i parametri imposti da qualcuno a far cambiare le idee su un luogo o su un altro, ma sta di fatto che in ogni paesino in cui ci imbattiamo e che presenta il logo ‘I Borghi più belli d’Italia’, scatta in noi un qualcosa che va al di là della curiosità e si avvicina ad un senso di fierezza di aver conquistato un’altra meta tanto nascosta, quanto pregiata. E così è anche per questa perla incastonata nella langa astigiana, fuori dalle solite rotte, ma in realtà facente parte di una zona di piccoli gioielli. Parliamo di Mombaldone, 60 chilometri da Asti e 50 rispettivamente da Alessandria e da Savona, che con i suoi poco più di 200 residenti, di cui 12 stranieri, stando all’ultimo censimento, è entrata di diritto a far parte della ristretta cerchia di quei borghi di cui dobbiamo assolutamente conservare intatti i monumenti, le tradizioni, la storia.

Descrizione e Storia
Unico paese della langa astigiana ad aver conservato la cinta muraria originale, il nome Mombaldone deriva da MonsBoldus, dal germanico, ovvero ‘monte’.I primi documenti in cui si accenna a tale località risalgono al VI-VII secolo, in cui la zona risulta essere sotto il dominio longobardo. La storia ha radici antiche edè legata soprattutto alla famiglia ‘Del Carretto’. Ed è proprio a cavallo tra il duecento e il trecentoche la perla della langa astigiana cresce grazie a Enrico IV Del Carretto, marchese di Finale, che la dota di nuove abitazioni e di un pozzo.

Perché andarci
Oggi Mombaldone è un piccolo sogno. Una piccola, unica e principale strada che attraversa il borgo e ci permette di ammirare antiche abitazioni e un’unica piazza, Piazza Umberto I, su cui si affaccianol’oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano, costruito sul fossato del Castello nel 1764 e restaurato a metà degli anni ’90 del secolo scorso (oggi al suo interno vengono allestite mostre, si tengono riunioni, manifestazioni, convegni) e la chiesa parrocchiale di San Nicola, a pianta esagonale, risalente alla fine del XVIII secolo. Al suo interno possiamo ammirare tele settecentesche e soprattutto un enorme organo dei fratelli Collino! Non molto rimane purtroppo del Castello, parzialmente demolito nel 1637.
Il nostro consiglio è di visitare e passeggiare per il borgo soprattutto sul calar della sera, quando la luce del tramonto rende i vicoletti, le case, la piazzetta, i resti del castello e la pianura circostante di un colore intenso e creano quel senso di storica e positiva nostalgia difficile da dimenticare!

Curiosità
Una curiosità legata a Mombaldone che non tutti sanno, è che il Castello è ancora abitato. Da chi? Ovviamente dai discendenti dei Del Carretto, i signori di Mombaldone, che non governano più sul borgo, ma si occupano della sua conservazione.
E non lasciate questa splendida e piccola località senza aver pregustato un ottimo primo, come ad esempio i ravioli al plin, mentre per secondo la scelta è varia e va dal capretto di Langa, il montone grasso arrosto e il famoso e gustoso bollito con tanto di bagnét! Cosa aspettate?


mercoledì 8 ottobre 2014

Riflessioni di una giornata in montagna



RIFLESSIONI DI UNA GIORNATA PERFETTA
SOGNANDO UNA GITA IN MONTAGNA



No, non siamo tutti uguali. Percepiamo sensazioni differenti, viviamo momenti opposti, pensiamo in maniera completamente diversa. Ed è bello che così sia. Da piccoli, da ragazzi, da adulti, da anziani, cresciamo imparando e a modo nostro curiosando in più mondi, soffermandoci per più tempo in quello a noi più congeniale.
Io mi sono soffermato più di una volta nella ricerca della mia verità, in quella stanza buia in cui la luce era tutta da scoprire e in cui la mia passione doveva venire fuori sulle altre. Quale? Perché? Come catturarla? Sin da piccolo amavo guardare fuori dalla finestra e ammiravo quelle maestose montagne che dominano la valle in cui sono nato. Di quelle mi ero innamorato, ma ancora non lo sapevo. Avevo bisogno di viaggiare, scoprire altri itinerari, conoscere altri lidi per poi tornare. Ma non triste, solo più ricco di quella nuova consapevolezza nell’aver scoperto che da casa ero partito e da casa dovevo ripartire, ma questa volta nella scoperta di quel mondo che finalmente potevo fare mio, amavo, sognavo, spiavo.

La montagna è un po’ tutto questo per me, che appena posso fuggo da giornate lavorative, noiose, pacifiche, rumorose, straordinarie, per rifugiarmi in quell’essenza fatta di aria pura, piccoli sentieri, silenzi profondi, albe splendide e tramonti imperdibili. Amo ancora adesso alzarmi presto sapendo di poter vivere tutto questo, perché la montagna è vita, la montagna è viva!
E quando non posso amarla, la sogno, nei miei pensieri invernali, nelle lunghe giornate passate in coda nell’atteso di un semaforo verde, nei miei ricordi da bambino, quando da casa mia scrutavo quel paesaggio che credevo di possedere, ma che in realtà, nella sua immensità, non avrei mai potuto possedere del tutto.

C’è chi mi prende per matto, per paranoico, per un mezzo supereroe di non so quale fumetto, cartone, serie. Io sono me stesso ed in me stesso intendo emanciparmi nella continua certezza che quella poca vita che ho vissuto mi ha portato ad avere almeno la certezza di una piccola cosa: la passione per la montagna, d’estate con lunghe passeggiate alla ricerca di ruscelli, rifugi, alpeggi abbandonati ed in inverno, dove il sole si riflette in quell’incredibile colore bianco della neve.
Non è un rifugio, ma semplicemente un altro modo di intendere la semplicità della vita, c’è chi la domenica la trascorre al bar, chi in un centro commerciale, chi passeggiando su un lungomare! Io vado alla ricerca della mia strana solitudine, molte volte condivisa e impregnata di parole, frasi, chiacchiere, sfoghi, discorsi.


mercoledì 1 ottobre 2014

I misteri del Monte Musinè


I Misteri del Monte Musinè


Il monte più fascinoso e con più storia dell’intero Piemonte. Qui leggende, esoterismo e cristianità si incontrano regalando un luogo suggestivo e ancora da decifrare: il Monte Musinè. E’ un sabato mattina, e per noi del luogo è una tappa doverosa. Io non ci sono mai stato fino a quel momento, ho faticato nelle scalate delle cime più aspre della Valle di Susa e della Valsangone, ma mai mi era capitato di passeggiare per quella vetta ai miei occhi così familiare. La vedevo persino dalla finestra quando frequentavo le elementari. Non so cosa me ne abbia tenuto lontano, forse tutti i miti legati o più facilmente le vipere di cui tutti dicevano che il monte fosse pieno. Su questo punto vi rassicuro subito: non ne ho vista nemmeno una. 

Il Musinè, compreso nei comuni di Valdellatorre, Almese e Caselette, è reso inconfondibile dalla grossa croce posta in cima all’inizio del Novecento. Si narra infatti che qui Costantino vide la croce di fuoco in sogno, e da quel momento partì la sua conversione al Cristianesimo. 
La partenza per l’escursione è consigliabile dal campo sportivo dell’ultimo comune sopra citato, da lì c’è un cartello che segnala 2 ore e 10 di camminata. Guardo per un qualche istante i pulcini della squadra locale dannarsi a inseguire un pallone, spronati forse eccessivamente dai loro allenatori, poi continuo per la mia strada. I sentieri che salgono sono svariati e io ne scelgo uno secondo il mio istinto. Mi accorgo di aver preso la decisione giusta scegliendo una salita dove la vegetazione crea una confortante ombra, anche se la scalata indirizzatami dal mio fiuto è probabilmente la più faticosa.

Dopo un’ora abbondante giungo al Truc dell’Eremita, e mi accingo a percorrere la cresta che dovrebbe portarmi in vetta. Ma dopo solo venti minuti ecco apparire già lo spiazzo con la croce. Con la mente maledico la segnaletica, ma le mie gambe dicono che va bene così.
La cima è spaziosa, l’escursione è davvero per tutti. Lo intuisco dal fatto che lì trovo, oltre ad altre persone, una bambina di tre anni e un cagnolino minuto. C’è anche una tavola di orientamento, in acciaio inossidabile, con l'indicazione delle principali montagne. Ma la cosa più interessante o inquietante, dipende dai punti di vista, è una scritta su un pilastrino che dice: "Qui è l'Una Antenna dei Sette Punti Elettrodinamici, che dal proprio nucleo incandescente vivo la Terra tutta respira emette vita. Qui operano le Astrali Entità che furono: Hatsheptut,Echnaton, Gesù, Abramo, Confucio, Maometto, Buddha, Gandhi, Martin Luther King, Francesco d'Assisi, e anche Tu, se vuoi, alla fratellanza costruttiva tra tutti i Popoli. Pensaci intensamente, 3 minuti: Pensiero è Costruzione".

Io ci ho pensato, e dopo aver bevuto un sorso d’acqua, decido di tornare a casa. Per scendere opto per un’altra via indicata come la più corta da una segnaletica da me ormai malfidata. Lungo la discesa penso alle trasmissioni che hanno dedicato a questo posto e mi viene in mente che un noto conduttore aveva affermato che il Musinè fosse uno dei punti di un triangolo, insieme al Castello di Avigliana e alla Sacra di San Michele, nel centro di cui Lucifero venne scagliato da Dio. Il pensiero che al centro di questo triangolo si trova più o meno casa mia non mi tranquillizza per niente. 

Da quel lato della discesa giungo al Santuario di Sant’Abaco. I seguenti quattordici piloni della Via Crucis, naturalmente in ordine decrescente, mi riconducono al campo sportivo. I pulcini hanno lasciato il posto a dei colleghi più esperti, ed io penso di essermi meritato un buon pranzo. Facendo attenzione però, che strappando troppo vigorosamente l’insalata dall’orto non si apra nessuna fessura per l’inferno.