mercoledì 21 dicembre 2016

Racconti di Natale



RACCONTI DI NATALE!

Ora mettetevi comodi, seduti. Accendete il camino, se non ce l’avete non importa, basta una candela.Mettete una musica di sottofondo e lasciatevi trasportare da questa magia del Natale.
Quel Natale che ogni anno viene a bussarci alla porta, che trasforma ogni animo, anche il più burbero, malinconico e cinico in un essere senza tempo, che almeno la notte del 24 dicembre ha voglia di abbandonare cattivi pensieri e riflessioni negative, rifugiandosi in quel caldo tepore fatto di umiltà e umanità, magari ascoltando una delle tante storie legate a questa giornata. E di storie ce ne sono tantissime, molte che partono, o meglio nascono anche dal nostro Piemonte…

Storia 1
Il Piemonte è terra di confine, tra Stati, ma anche tra Regioni. Un tempo quella parte di terra che separa la nostra regione dalla vicina Liguria era presidiata da doganieri, pronti ad imporre dazi su tutte le merci che venivano importate, specialmente quelle che erano ritenute più pregiate di altre. E quali tra i tanti prodotti potevano essere considerati importantise non le acciughe che giungevano dal golfo genovese? Difficile era passare inosservati alla dogana, ma un contrabbandiere riuscì nell’impresa nascondendo il pesce sotto il sale e riuscendo a passare senza molti problemioltre il confine. Il risultato? Da allora le acciughe sono state inserite nei menù di Natale di tutte le province del Piemonte…

Storia 2
Un’altra storia, questa meno allegra della precedente, ci arriva dal pinerolese, o meglio dalle magnifiche montagne che sovrastato la cittadina alle porte della Val Chisone. Siamo al 25 dicembre del 1400, oltre 600 anni fa, quando il Monte Albergian divenne rifugio di decine di valdesi in fuga verso la Val San Martino. Purtroppo uomini e donne vennero sopraffatti dal freddo inverno e non riuscirono a sopravvivere. La leggenda narra che ancora oggi, a Natale sul monte, i loro spiriti vaghino inquieti…

Storia 3
Quella del pastore Gelindo è invece la storia per eccellenza legata indissolubilmente al Natale ed alla nostra terra. Gelindo è un sempliciotto, un pastore sempliciotto, un testone dal cuore tenero. Tutti lo hanno visto almeno una volta, se non altro in ogni presepe che si rispetti non può mancare, lui con il suo immancabile agnello disposto intorno al collo e legato sul petto nelle quattro zampe!
Uomo del Monferrato, lascia la sua casa per obbedire al censimento dell’Imperatore ritrovandosi dalle parti di Betlemme. Ed è proprio qua,come la leggenda narra, che incontrò sul suo cammino Giuseppe e Maria, e fu lui ad aiutarli a trovare la grotta dove prestosarebbe nato Gesù!

Piccoli aneddoti, da tramandare o da raccontare proprio il giorno di Natale a grandi e piccini, per una festa, quella del Natale che nasce secoli fa, ma che ancora oggi emoziona con i suoi racconti e le sue leggende sempre attuali!

Buon Natale!!!

Alla prossima

Luca B.

lunedì 12 dicembre 2016

Quell'albero di Natale dalle origini piemontesi



QUELL’ALBERO DI NATALE DALLE ORIGINI PIEMONTESI!



Natale, quale grande evento, per grandi e per piccini. Sempre prima inizia il periodo natalizio in cui si addobbano balconi, si prepara il presepe e soprattutto si fanno illuminare i primi alberi di Natale. In tutte le case, paesi, regioni… in tutta Italia l’albero di Natale è simbolo di festa, gioia, luce. Come il Natale stesso, l’antica festa della luce.
E molto antica è l’usanza di addobbare l’albero.Addirittura dobbiamo risalire alle tribù dei celti,le quali amavano decorare le piante durante le feste del solstizio d’inverno. Il cristianesimo per un periodo ne vietò la diffusione, di questa usanza, sostituendo l’albero con l’agrifoglio, simbolo della corona di spine di Cristo, il quale rappresentava meglio il periodo a cui ci si stava avviando.
Bisogna salire su di qualche migliaio di chilometri per vedere i primi abeti decorati nel nostro Continente. L’amata Europa abbraccia l’usanza al nord, ma proprio al nord! E’ infatti l’Estonia, a Tallin, a far nascere l’uso moderno dell’albero di Natale, quando nella piazza principale, davanti al municipio, un enorme abete fu al centro di festeggiamenti e teatro attorno al quale ragazzi e ragazze danzavano alla ricerca dell’anima gemella!

E in Italia? Si, voglio dire, nel nostro Paese a quando risale questa tradizione a cui non possiamo ormai fare a meno? La data non è certa, il periodo sì! Siamo nella seconda metà dell’ottocento, l’Italia è un paese unito, anche se ancora con tanti problemi da affrontare e da risolvere, quando a Roma, dove i regnanti si sono ormai trasferiti, Margherita di Savoia, al Quirinale, allestisce il primo albero di Natale nel bel Paese. Basta poco, un passaparola veloce ed in pochi anni il simbolo si trasforma in tradizione, i primi del ‘900 vedono un’Italia con alberi decorati da nord a sud e viceversa. 

La prima Regina d’Italia, nata a Torino il 20 novembre del 1851 e moglie di re Umberto I, fu la prima dunque a dare il via ad una tradizione che ancora oggi resiste e che dal dopoguerra in poi, non solo nel nostro paese, ma in tutta Europa e nel Nord America ha creato una vera e propria industria ‘natalizia’.
Chissà se all’epoca l’amata regina avesse messo in preventivo tutto questo e se decorando quel primo albero di Natale romano avesse immaginato che un giorno ogni casa, ogni bimbo, ogni adulto, ogni anziano avesse legato la festa del Natale in qualche modo a quell’albero che 150 anni fa aveva poco di natalizio, ma tanto di regale!



Alla prossima

Luca B.

martedì 29 novembre 2016

Sacra di San Michele.. una delle tante leggende




SACRA DI SAN MICHELE… UNA DELLE TANTE LEGGENDE!



Ogni volta che, anche da lontano, ammiro in tutto il suo splendore il simbolo del Piemonte, che è la Sacra di San Michele, penso alle decine di leggende e storie che a quel monumento sono legate. Sin da piccolo, quando i miei nonni mi portavano lassù, sul monte Pirchiriano, da cui si può dominare la magica Valle di Susa, le mie orecchie sono sempre state attente ad ascoltare ogni singola sfumatura di quegli aneddoti, di quelle vicende. Poi sono cresciuto, ho letto libri e sfogliato pagine web sulla Sacra di San Michele e assimilato conoscenza e cultura, arte e millenni di vita che si sono fuse e confuse con piccole storie tra il reale, l’immaginario, l’esoterico ed il sovrannaturale. Il tutto mi è sempre apparso affascinante, come lo sono le fiabe che i bambini amano ascoltare.
Ma di tutte queste notizie che ho ascoltato, letto, assorbito, amato, una in particolare mi è sempre rimasta impressa. Sarà per la sua crudeltà o semplicemente perché visitando il monumento e avvicinandomi alla Torre che sovrasta il monte, guardando giù in quello strapiombo, ancora ripenso a quella donna che secoli fa, proprio da lì si è gettata…

…il suo nome era Alda, la ‘bella’ Alda, una ragazza affascinante e soprattutto devota. Amava la Sacra, dove, come molti altri del suo tempo si rifugiava per scappare da mercenari e conquistatori medievali senza scrupoli ein cuitrascorreva gran parte del tempo a pregare. Proprio in uno di questi momenti di raccoglimento venne assalita insieme ad altri da alcuni soldati. La ragazza riuscì a ribellarsi, a scappare sino alla torre che oggi porta il suo nome e continuare a pregare.Non ci pensò un instante, decise di continuare nella sua fuga… lasciandosi cadere nel vuoto. Centinaia di metri di strapiombo tra castagni, querce e soprattutto rocce! La sua fine sembrava inevitabile, non fosse stato per gli Angeli e la Madonna che la salvarono! Arrivò a valle intera, sana, salva e con pochi graffi. Chissà cosa deve aver pensato la bella Alda in quel momento, alzando lo sguardo verso il cielo, verso quel monte che amava e che le aveva dato una seconda incredibile opportunità!

Ma anche le seconde opportunità vanno difese. Credendosi forse invincibile ed indistruttibile, ma soprattutto protetta da forze divine e scontrandosi con persone che non credevano alla sua storia, decise di riprovarci. Da lassù, sì, da lassù, da dove si era già gettata una volta.Doveva andare per forza bene… anche una seconda. E questa volta non sarebbe stata sola con i suoi Angeli, una schiera di uomini sarebbe stata pronta ad osservarla, ad applaudirla, ad incitarla. Fu per vanità, per superbia e forse anche per denaro che quel volo si tramutò in tragedia…
Ancora oggi i valligiani che si tramandano la vicendadi quella ragazza di generazione in generazione affermano che 'l toc pigross a l'è l'ouria’ ovverol’orecchio fu la parte più grande che ritrovarono della donna.Realtà o finzione, la leggenda della bella Alda è una di quelle storie che nella mia mente rivivono ogni volta che, giungendo dalla città, vedo apparire quel ‘sogno’ sospeso in aria, che è la Sacra di San Michele!
Alla prossima

Luca B.

lunedì 14 novembre 2016

Seconda solo...alla Statua della Libertà




SECONDA SOLO… ALLA STATUA DELLA LIBERTA’!!!


 Dove
Piazza San Carlo è considerato il salotto di Torino, una delle piazze più belle del capoluogo piemontese, forse una delle più belle e meglio conservate piazze di tutta Italia. Due sono le chiese che vi si affacciano, Santa Cristina e quella dedicata a San Carlo. Ma chi è stato in vita quest’ultimo? Piemontese, ma non torinese, natio di Arona, Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, è stato colui che nel ‘500 è riuscito a convincere Emanuele Filiberto a trasferire la sindone da Chambery a Torino, in modo da poterla andare a venerare in un luogo più vicino rispetto la Francia. Morto il 3 novembre del 1584 Carlo Borromeo ha dedicato la sua vita all’assistenza spirituale e materiale, divenendo punto di riferimento nei periodi di pestilenze ed epidemie. Venne canonizzato solo 26 anni dopo la sua morte!
Fu suo cugino a voler dedicare a San Carlo un sacro monte, nei pressi del suo paese natale, nella bella cittadina sul lago Maggiore e costruire una statua che fosse ben visibile anche dal lago stesso.

Descrizione e Storia
Fu così che il 19 di maggio del 1698 venne inaugurato il monumento dedicato al santo,anora oggi conosciuto da tutti come il Sancarlone. Si tratta di un’opera gigantesca, alta 35,10 metri di cui 11,70 di piedistallo di granito e completamente visitabile. Si può entrare, infatti, all’interno del monumento e grazie ad una serie di scale, si può salire sino alla testa di San Carlo e da lì poter ammirare un panorama incredibile!

Perché andarci
Luoghi suggestivi, panorami mozzafiato ed un’esperienza più unica che rara, quella di poter entrare all’interno di una statua, rendono questo monumento tra i più visitati e importanti di tutta la Regione, con migliaia di turisti pronti ogni anno ad arrivare ad Arona. Chi giunge o chi trascorre anche solo qualche giorno sul Lago Maggiore, oltre alle isole borromee, non può non inerpicarsi per il Sacro Monte e godere di quest’opera fatta di lastre di rame battute a martello, che oggi festeggia gli oltre 300 anni di vita…

Curiosità
Senza dimenticare che il Sancarlone è la seconda statua visitabile al mondo dopo… sua maestà, la Statua della Libertà, di New York, alta circa dieci metri in più del monumento piemontese!!!!

Alla prossima

Luca B.

lunedì 24 ottobre 2016

Quel luglio con la nebbia - l'eccidio del Colle del Lys


QUEL LUGLIO CON LA NEBBIA
L’ECCIDIO DEL COLLE DEL LYS



L’aria gelida penetra nelle ossa. Il sole è alto, ma non caldo oggi e va a riflettersi su quel manto bianco che copre le montagne tutte intorno. Lo spettacolo è immenso, incredibile, gelido. Non si ode una voce, un rumore, solo il vento. Non si vede anima viva, non si sente alcun odore se non quello della fredda aria.
Dal centro della piazza tutto si può vedere, basta roteare il corpo fino a spingere gli occhi su, per il Monte Arpone. Dal Colle del Lys la vista è stupenda, quella Torre Circolare che ti annuncia di essere arrivato alla meta. Quella Torre circolare simbolo di guerra, speranza, infamia, storia. Quella Torre Circolare posta verso la Vale di Susa, dalla parte opposta di quella Valle di Viù dove una fossa comune, tanti anni prima,ha raccolto i corpi di 32 giovani uomini periti proprio su questo colle tanto amato dai valligiani, dagli escursionisti, dai ciclisti.

Si sente ancora quell’atmosfera di disfatta, di resa, di cotanta cattiveria che ha animato la notte tra il primo e il due di luglio del 1944, notte in cui, avvolti da una strana ed estiva nebbia, i partigiani della diciassettesima Brigata Garibaldi si sono scontrati con le truppe nazifasciste.
Uno sparo singolo, poi una raffica, questo fu l’inizio di uno dei più devastanti rastrellamenti contro le brigate garibaldine che si trovavano nella zona. Difficile fuggire, dove? Nei boschi, su in montagna,tra quella nebbiolina, ma troppi i mille tedeschi e fascisti per tentare un attacco. Ed allora l’unico ordine possibile fu ripiegare… nove vennero uccisi subito, ventitré catturati, torturati e trucidati.

Solo il quattro di luglio del 1944, quando tutto era ormai passato, anche il più grande dei mali, alcuni partigiani aiutati da contadini e da parroci della zona poterono seppellire i poveri ragazzi.
L’eccidio del Colle del Lys viene ricordato tutti gli anni, una lunga fiaccolata notturna ricorda quell’alba, quella notte senza una fine in cui vennero calpestati i sogni di giovani uomini.
Dal centro della piazza tutto si può vedere, basta roteare il corpo, la Torre Circolare, sorta per ricordare non solo quel due di luglio, ma tutte le 2024 persone cadute durante la Resistenza e appartenute alle Brigate Garibaldi, l’Ecomuseo della Resistenza Carlo Mastri e la via che conduce verso Niquidetto, proprio dove ancora oggi riposano i corpi e le anime di quei combattenti.
Solo il silenzio. Solo il silenzio è l’eterna testimonianza di questo scorrere del tempo, di quel tempo che sembra essersi fermato decenni fa e sembra voler e poter insegnare ai posteri qualcosa.Se solo imparassimo ad ascoltarlo, quel silenzio…





Luca B.

mercoledì 19 ottobre 2016

Asti


COMUNE DI ASTI

Come potete vedere dall’immagine qua sopra, lo stemma del comune di Asti è formato da uno scudo rosso con una croce d’argento. Sopra lo scudo è presente una corona utilizzata dai conti. Lo stemma è completato da due foglie di palma legate da un nastro rosso ed un cartiglio che riporta il motto latino “Aste Nitet Mundo Sancto Custode Secundo” che letteralmente significa “Asti risplende nel mondo per merito del suo Santo Custode Secondo”.  La sua origine è da ricercare nel periodo delle crociate, infatti molti astigiani ne presero parte nel 1202 e nel 1209. Lo stemma subì una trasformazione sotto il dominio napoleonico, dove lo scudo venne diviso in quattro parti, così recita un documento dell’epoca: “ Al primo inquartato a destra delle città di seconda classe, che è d’azzurro ad un N sormontato da stella raggiante d’oro, a sinistra di sabbia a tre lance antiche disposte in palo d’oro, al secondo campo d’azzurro e di rosso, dalla croce d’argento toccante gli orli, fondo blu, rosso cupo, bianco, giallo”. Lo stemma subì un cambiamento anche in epoca fascista, quando fu imposto il capo del Littorio.

lunedì 10 ottobre 2016

Dall'Olimpo alla Val D'Aosta



DALL’OLIMPO ALLA VAL D’AOSTA


Ogni tanto ci si chiede da dove derivi il nome di un luogo che abbiamo attraversato più e più volte. Nomi strani, semplici che non riusciamo però proprio a collocare in alcun modo in una precisa sfera a noi conosciuta.
E’ quello che mi è capitato, ad esempio,attraversando uno dei tanti paesi della Val d’Aosta, uno dei tanti con quel suono e quella parlata francese che ti rimane impressa e che porti la sera a casa. Montjovet! Montjovet è proprio uno di quei luoghi, di quei luoghi che, attraversati dalla Dora Baltea e dalla Statale 26, passano, corrono, volano via lasciando spazio e tempo ad altre mete magari più turistiche, alte, famose.
Eppure quel nome mi ha sempre fatto pensare a qualcosa di sacro, soprannaturale, divino. E questa è la sua storia….

Montjovet è un bel paese di quasi duemila anime, con quel fiume, la Dora, che mai come in questo tratto sembra così vivo. 2174 è la vetta più alta del comune, si tratta del Mont Lyan, maestoso, da cui si domina parte della valle stessa. Il territorio è attraversato da uno dei più importanti canali irrigui della Regione, il Ru d’Arlaz.
In epoca fascista il nome Montjovet venne cambiato, o meglio italianizzato,come quello di molti altri paesi, in Mongiove. Monte di Giove, quindi! Ma cosa c’entra la più grande divinità romana,
paragonabile allo Zeus greco, re dell’Olimpo, con questa terra?
Eppure Giove, come narra la leggenda, sembra essere quasi di casa qua, a Montjovet. I romani gli dedicarono un edificio di culto, nonché il monte sul quale quest’ultimo sorgeva, il Monte di Giove. Il tempietto, situato con ogni probabilità a Barmas era meta di pellegrini che qua pregavano la propria divinità. Ma Giove non è stato clemente, approfittando della propria forza e potenza amava terrorizzare gli abitanti del vallone di Peti-Monde, facendo di tutto per bloccare le acque del fiume, uccidendo poveri viaggiatori e viandanti, cercando di distruggere il piccolo borgo di Rodoz. Solo due angeli inviati da Dio riuscirono a placare gli animi di Giove schiacciando, nel vero senso della parola, la faccia della divinità su una roccia, sulla quale, si dice, sia stata impressa la usa immagine!

Leggenda o no, realtà o finzione, questo di Giove è uno dei tanti piccoli aneddoti che si possono udire in questo borgo, facente parte di questa chiusa vallata, dove il silenzio della quotidianità è interrotto soltanto dal lento via vai delle auto, dal fiume che lento scorre verso Torino e anziani, che fermi agli angoli delle vecchie case, non aspettano altro che raccontare ciò che il tempo ha raccontato a loro!




Luca B.