mercoledì 9 dicembre 2015

Carignano, la nebbia dell'antichità


CARIGNANO, LA NEBBIA DELL'ANTICHITA'


“Cosa c’è nella nebbia in Val Padana? Ci son cose che dirle non ci credi. Non ci credi nemmeno se le vedi, a parte il fatto che non le vedi”. E’ la canzone di Cochi e Renato che ti salta in mente quando ti trovi ad affrontare quei tratti di strada a sud di Torino che da Moncalieri vanno per La Loggia, Piobesi ed altri comuni. Poi ad un tratto la nebbia si dirada e spunta improvviso e gentile un paese racchiuso dal sole: Carignano.

Nel nostro capoluogo di regione un luogo fondamentale e molto amato è Palazzo Carignano, che fu sede della prima Camera dei Deputati del Regno d’Italia. Sito nell’omonima piazza che ospita ristoranti e gelati storici oltre al Teatro Carignano, gioiello e monumento della cultura sabauda. Ma tutti questi posti, da dove prendono il nome se non da un ramo di Casa Savoia?

Carignano è un comune che non supera le 10mila anime. E’ un luogo antichissimo, i primi ritrovamenti raccontano di un territorio attivo già nell’Età del Bronzo. Poi il paese ha seguito tutta la storia italiana, dal periodo etrusco al quello romano, per passare dell’epoca longobarda e a quella carolingia. Sono state rinvenute delle vere e proprie necropoli utilizzate sia dai Romani che dai Longobardi in seguito. Carignano, che ha avuto un così importante ruolo anche nel Risorgimento, ha visto un ridimensionamento nella prima metà del Novecento, dovuto ai problemi economici attraversati dal Lanificio Bona. Per questo il fenomeno dell’urbanizzazione si è sentito meno, ma forse, tutto sommato, è meglio così.

Sulla famiglia Bona ci sarebbe da raccontare una lunga serie di cose: la ditta venne fondata da Valerio Massimo Bona, che alla sua morte passò il comando ai figli. Malgrado ciò che si può pensare, i discendenti fecero un buon lavoro, anche se interessati ad altre cose: Lorenzo fu calciatore alla Juventus, mentre la velocità era la passione di Gaspare che in varie occasioni duello con un certo Tazio Nuvolari. La nota familiare e sportiva la si può chiudere dicendo che lo stesso Carignano Football Club militò negli anni Venti nella Prima Categoria (l’odierna Serie A). Il lanificio ebbe grosse magagne con le tassazioni all’Italia del 1935.

Importanti monumenti cittadini sono la chiesa di Misericordia che si affaccia su una piazzetta dove è presente una costruzione alla memoria dei caduti, il Santuario del Vallinotto e la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Ma il posto più caratteristico è sicuramente il duomo dedicato a San Giovanni Battista e a San Remigio (patrono del comune). Fu commissionato a Benedetto Alfieri a metà Settecento e presenta caratteristiche particolari come la forma convessa e la visuale di tutti gli altari dall’ingresso. Il Duomo di Carignano è dunque come dipinto di Andy Warhol, una poesia di Vladimir Majakosvskij, un film di Luis Bunuel: è avanguardia. Inoltre proprio la sua forma convessa fa immaginare che possa essere compimento di un puzzle con Palazzo Carignano, in una sorta di “Pangea dei palazzi”.


Non si può non citare il carnevale, forse il più bello di tutto il Piemonte. E quindi tra antichità ed avanguardia, tra la nebbia si staglia un luogo che ha conosciuto metamorfosi e cambiamenti nel corso dei secoli. La gente locale si è lasciata alle spalle millenni di storia, pronta a riscriverne una nuova. Guccini cantava: “Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta, ma la gente che ci andava a bere fuori e dentro e tutta morta”. Ma quale morta? All’ osteria del Fuoriporta di Carignano la gente è viva e vegeta e pronta a portare questa vitalità anche al prossimo, per un paese sorprendente ed ancora con molti misteri che lo rendono impossibile da non visitare.

mercoledì 2 dicembre 2015

Lassù, dove padroneggia la torre dei segnali!



LASSU’, DOVE PADRONEGGIA LA TORRE DEI SEGNALI!

Estate 2015. Quella calda. Troppo calda.
Ora di pranzo.
L’ora più calda del più caldo luglio degli ultimi 200 anni.


Dove sono? In un luogo fresco? Macché, nemmeno oggi voglio sapere di fermarmi. Devo andare, scoprire, come sempre, e nonmiimporta se il termometro in questo martedì di mezza estate segna  39 gradi. Mi trovo nel Basso Monferrato, in questa meravigliosa terra che ogni giorno che passa si fa scoprire sempre un pochettino di più. Ho lasciato la provincia di Alessandria da forse un quarto d’ora e sono tornato a girovagare, solo, per le colline monferrine sotto questo sole scottante. In giro nessuno, tutti a casa a cercare refrigerio e forse a preparare una fresca e salutare insalata. Io sono qua, in questo parcheggio di Viarigi, località di nemmeno mille anime, che mi ha attratto per quell’imponente torre che ho potuto scorgere dalla strada che qua mi conduceva e non per ultimo, dal magnifico panorama che da qua si può ammirare, in particolare verso la vicina Montemagno, ma questa è un’altra e futura storia.

La meta è là. Lassù. Ancora lontana, se penso alle mie gambe stanche, alla camminata, in salita, che mi aspetta e alla calura che si fa sempre più intensa. Ma non demordo e spinto da quella visione di poco prima affronto i chilometri che mi separano dalla ‘Torre dei Segnali’. Così si chiama il monumento che domina questa collina in provincia di Asti. E da qua, ancora una volta, mi sembra si possa dominare il paesaggio circostante, il mondo intero.Quel blu intenso del cielo di luglio, ben si scontra con il verde ed il giallo di queste terre. Il silenzio è interrotto solo dall’abbaiare di qualche cane, irritato dai miei passi che non gli permettono di riposare in santa pace in questo giorno così caldo anche per loro. E poi io, nient’altro, come faccia a trovarmi e ritrovarmi in alcuni luoghi solo e felice è difficile da dire e le sensazioni che si provano impossibili da trasmettere.
Percorro lo stretto viale, o meglio il sentiero ben battuto e circondato da un verde intenso, che mi portano a ridosso della ‘mia’ Torre. Un tempo su questa asperità sorgeva il castello, che oggi non c’è più, distrutto probabilmente nel 1316 dagli alessandrini in lotta con il Marchese del Monferrato. Oggi come detto sorge la Torre detta ‘dei Segnali’, simbolo del paese, riportata anche sullo stemma di quest’ultimo e che ha avuto per anni l’importante funzione di posto di avvistamento!

La osservo dal basso, con i suoi 25 metri di altezza e i suoi 5 piani è una delle torri in mattoni meglio conservate che ho potuto vedere nei miei corti e lunghi viaggi per il mondo.
Dalle ceneri del castello ai giorni nostri. Settecento anni di storia, di vita, di lotte. La osservo ancora un po’, presenta finestre monofore e ai suoi piedi, lateralmente si può scorgere il fabbricato del corpo di guardia. La proprietà fu di molti, così come molti furono i rimaneggiamenti, restauri che subì tale opera, ma poco importa, anche in questo caso si tratta di uno dei tanti monumenti da vedere, perché oltre ad essere il simbolo di questo incantevole paesino dell’astigiano, la Torre dei Segnali potrebbe diventare un importante tappa del circuito del Monferrato. Una sosta è d’obbligo, magari non in uno dei giorni più caldi della storia dell’umanità…


Alcune info per chi volesse visitare l’interno della Torre dei Segnali (consultare sempre prima i vari siti internet ad essa dedicati)

Apertura: tutte le domeniche da aprile ad agosto dalle 15 alle 18:30 – Ingresso libero!

mercoledì 25 novembre 2015

Il parco dominatore



IL PARCO DOMINATORE!


La collina. La si vede da lontano, da qualunque parte uno giunga. Dall’astigiano o dal vercellese. E’ un punto di riferimento che quando cominci a scorgere, sai che sei quasi in prossimità del capoluogo piemontese. Sotto a quelle alture, si estende Augusta Taurinorum, la prima capitale d’Italia, la culla per secoli del regno Sabaudo.
E quella collina è imponente. Per molti il simbolo massimo di quella ondulante terra rimane la Basilica di Superga e come dargli tolto, quello splendore visibile da ogni punto, ricco di storia, architettura, centro di cultura, di sport e ovviamente di preghiera. Ma in realtà, il punto più alto della collina torinese è dato da un altro colle, poco più in là, rispetto a quello di Superga.Stiamo parlando del Colle della Maddalena, 715 metri sopra il livello del mare.

E se uno giunge in auto, in moto o con una bella e salutare pedalata in bicicletta, sulla sua sommità potrà scorgere un panorama incredibile e meravigliarsi nel passeggiare in un vasto giardino pubblico cittadino, conosciuto da molti come il Parco della Maddalena, ma il cui vero nome è Parco della Rimembranza. Un po’ di numeri? 90 ettari, questa è l’estensione del parco, 21.000 gli alberi che lo compongono. Ma soprattutto, come già accennato, è il panorama che da lassù si può ammirare che rendono questo luogo unico. Da là si domina l’immensità che da Torino diparte e sbatte magistralmente su quelle Alpi che nelle giornate di sole sono fantastiche da vedere! Una vista magica! Torino ai nostri piedi e le montagne che fanno da cornice a questo incantevole e reale dipinto.
E al centro del palco uno dei monumenti simboli della città, uno dei tanti… il Faro della Vittoria, la Vittoria Alata, opera in bronzo di Rubino, dono alla città di Giovanni Agnelli del 1928 per celebrare il decimo anniversario dalla fine della Grande Guerra.
Gli amanti della bicicletta e delle camminate non possono che rimanere entusiasti di questo luogo silenzioso edominante su tutto. Da qua dipartono sentieri, viottoli, per un totale di 45 chilometri di strade sterrate che permettono di scoprire la collina in tutta la sua bellezza, nonché di arrivare sin quasi alle sponde del fiume Po che da quassù si può vedere come un enorme bacino d’acqua pronto ad attraversare l’intera città!

Novanta oltre agli ettari sono gli anni di vita di questo parco, inaugurato nel 1925 da Vittorio Emanuele III. Il nucleo originario conserva ancora oggi il ricordo di 4.787 caduti torinesi, accanto ad ogni pianta è riportata una targhetta col nome di un caduto della Guerra del ’15-’18.

Bene! Se non sapete quindi come trascorrere una domenica, se volete ammirare la città da un punto di vista differente, se volete passeggiare dove non lo avete mai fatto, se volete salire sul colle più alto di Torino, se volete gettarvi con la vostra bicicletta giù per i ripidi pendii della collina, se volete godere di un panorama incredibile, se volete portare i vostri bambini a correre per sentieri sconosciuti, se volete mangiare un gelato sotto al Faro della Vittoria, se volete semplicemente scoprire un altro luogo della nostra terra… il Parco della Rimembranza è pronto ad accogliervi!!!

mercoledì 18 novembre 2015

Il Sacro Monte silenzioso! (seconda parte)



IL SACRO MONTE SILENZIOSO!
Seconda Parte


Vada per il Cacio e Pepe. Ci accomodiamo al ristorante. Non male, né il ristorante, né il cacio e pepe. Il vino anche, ottimo. Nonostante la stagione non sia quella calda, la giornata è solare e possiamo scorgere dalle vetrate del locale la piazza su cui si affacciano gli edifici ammirati poco prima. Un buon caffè decreta la fine della nostra fatica culinaria, anche perché se fossimo stati ancora seduti non avremmo potuto ammirare ciò che il luogo ha da offrirci. E così dopo aver pagato, eccoci di nuovo, sempre più numerosi, a noi si sono aggiunte definitivamente le due coppie incontrate al mattino, provenienti da un paesino vicino a Verbania, nella piazza antistante il Santuario di Crea. Li guardo tutti, quasi a volerli mettere sull’attenti o a voler fare una sorta di ripasso della mattinata. Saranno pronti questa volta ad entrare in Chiesa prima che anche il tempo della merenda prenda il sopravvento sul resto??? Entriamo, nel silenzio più totale di questo inizio pomeriggio. 

Mi volto, con la voce bassa li osservo, prima di riprendere il mio depliant e iniziare a raccontare:
‘Ci troviamo all’interno della Chiesa di Santa Maria. Se siete dei bravi osservatori, nel fare un giro per l’interno, vi sarete accorti di quanti siano le opere, anche di un certo spessore artistico, che qua sono conservate! Quella che potete vedere qua dinnanzi a voi è la Cappella di Santa Margherita con affreschi del ‘400. Raffigurano la Madonna in trono e i donatori e le Scene del martirio della Santa. Sono dipinti da un autore conosciuto genericamente come il ‘Maestro di Crea’, potrebbe trattarsi di Francesco Spanzotti, ma non si hanno delle conferme certe in tal senso. Tra i tesori che a Crea troviamo, dobbiamo ricordare anche la bella tavola di Macrino d’Alba e due ritratti di Guglielmo IX del Monferrato e Anna d’Alencon. Queste opere sono conservate nel museo del Santuario’.
Poche parole. Continuo per la mia via ed esco. Non tutti mi seguono però. Alcuni si soffermano ancora all’interno della Chiesa e dopo una decina di minuti tutti siamo di nuovo nella Piazza principale.

‘Allora, siete pronti a passeggiare?Relax. Tranquilli, ognuno del suo passo e arriviamo in cima’ E così sarà. C’è poco da spiegare e tanto da ammirare camminando salendo per questo sentiero, che ci fa incontrare sul suo percorso alcune cappelle bellissime, con statue di terracotta meravigliose. Arriviamo fino in cima, alla Cappella Paradiso, mai nome fu più appropriato. Questa cappella rappresenta il punto di arrivo, ma soprattutto il culmine del percorso devozionale. Centosettantacinque sono gli Angeli in terracotta che portano in cielo la Vergine, cui fanno da chiosa trecento figure plastiche raffiguranti santi e profeti e altri angeli dipinti sulla volta. L’impatto è veramente notevole e tutti rimangono stupiti da quella incredibile visione.

E poi che dire del panorama che da quassù si può ammirare sulla pianura circostante, che abbraccia le terre monferrine, ma anche e soprattutto il vercellese? Davvero impressionante questa piana che si perde a vista d’occhio proprio sotto di noi.
Sembrano tutti esterrefatti dal luogo, dal percorso, dalla giornata… poi qualcuno, il solito, si accorge che ci starebbe un ottimo dolcino di metà pomeriggio prima di riprendere la strada di casa. Così, tutti insieme ridiscendiamo dal monte…

‘E’ l’anno 1980. Qua, dove ora stiamo camminando, viene istituito il ‘Parco Naturale del Sacro Monte di Crea’. Il primo che insieme abbiamo visto, ma se vi siete trovati bene… perché non vedere insieme anche gli altri? Pranzo e merenda garantiti!’

lunedì 16 novembre 2015

Gli spari sopra


GLI SPARI SOPRA

Questa settimana la notizia non riguarda un fatto accaduto in Piemonte… o forse sì… anzi no. Questa frase di poco e dubbio significato indica però un avvenimento preciso delle ultime ore: uno degli artefici degli attentati di Parigi sarebbe libero e starebbe scorazzando tranquillamente nella nostra Regione a bordo della su Seat Ibiza nera. Questo potrebbe farci tremare, ma ‘l’anzi no’ con cui si conclude l’inizio di questo pezzo indica un dato molto più confortante, che l’auto in questione è stata ritrovata nella capitale francese. Possiamo tutti tirare un sospiro di sollievo. Ma di che?

Nessun film, né tanto meno “Venerdì 13”, si avvicina a raccontare gli orrori proprio di quel giorno. Venerdì 13 novembre 2015 diverrà un giorno tristemente noto nel nostro calendario europeo, proprio come l’11 settembre per gli americani. Chi di voi è stato in Siria? Probabilmente nessuno. Chi di voi ha un conoscente che è stato in Siria? Immagino pochi. Chi di voi è stato a Parigi? Tanti. Chi di voi ha un conoscente che è stato a Parigi? Forse tutti. Ecco che un episodio come quello successo venerdì scorso assume un aspetto di terrore intimo che non può essere paragonato ad altro. Se una cosa del genere avviene vicino a noi ci sentiamo attaccati personalmente reagiamo in altro modo.


In questo fine settimana appena passato chiunque si è sentito libero di dire la sua sull’argomento. Tanti hanno cercato un sistema per eliminare l’Isis. Ma come fare? Qui non si tratta di un popolo di barbari che in massa viene a saccheggiare l’Impero Romano. La strage di venerdì ci insegna che nel nostro tempo basta un manipolo di fanatici per distruggere centinaia di vite. Gli artefici dei fatti di Parigi sono stati materialmente forse una ventina, mica l’intera stirpe degli Unni. Eppure se ci pensiamo bene siamo vulnerabili proprio sui piccoli numeri. Chi potrebbe fermare un folle che ha deciso di fare una carneficina mentre stiamo assistendo ad uno spettacolo al Teatro Carignano o all’Alfieri, o stiamo cantando ad un concerto estivo all’aperto? Nessuno. Nessuno ha le chiavi per entrare nelle menti di questi individui. Riflettiamoci.

Green Verbania


GREEN VERBANIA

Città ingessate, statiche e pigre. Aree urbane che arrancano e faticano a rinnovarsi in chiave sostenibile ed essere culle di una rigenerazione urbana capace di migliorare la qualità ei singoli e della comunità.
Queste sono le lapidarie, ma quanto mai realistiche parole con cui Legambiente, in collaborazione con Il Sole 24 Ore, definisce i risultati emersi dalla ricerca ‘Ecosistema Urbano’, giunta alla sua ventiduesima edizione. Il fine ultimo di questo rapporto è stilare una classifica sulla vivibilità ambientale delle provincie italiane. Ed il primo posto se lo è aggiudicato Verbania.

Un vero trionfo per la città nata nel corso del Novecento dalla fusione dei comuni di Pallanza ed Intra. Un Caporetto al contrario, tanto per riabilitare anche lo sconfitto italiano per eccellenza quale Luigi Cadorna che di questa terra era nativo. Verbania mette in riga infatti comuni come Trento, Belluno e Bolzano che avevano dominato la classifica negli anni passati.

Il nostro Piemonte, oltre alla città dove sfocia il Toce, può vantarsi di avere altre tre province nelle prime venti, che sono rispettivamente: Cuneo al 13esimo posto, Biella al 17esimo e Novara al 18esimo. Senza infamia né lode il 40esimo gradino per Asti mentre per le altre è notte fonda. Vercelli è al 64esimo, Alessandria al 77esimo e Torino addirittura all’84esimo, dietro appena a Roma e alla Taranto dell’Ilva, ed è ultima tra i comuni del Nord Italia in questa classifica.


Si potrebbe stare a discutere per delle ore sulla completa veridicità o meno di queste conclusioni, che tengono conto di vari fattori quali qualità dell’aria, gestione delle acque, rifiuti, trasporto pubblico, ciclabilità, isole pedonali, ma il dato certo che ne esce è che si vive meglio in città dove non c’è un sovrappopolamento e soprattutto dove si riesce ad effettuare una funzionale raccolta differenziata e dove c’è una potenziata rete di trasporti. In queste ultime due Torino pecca ancora tantissimo, eppure basterebbe fare qualche chilometro di strada per andare a carpire qualche consiglio utile.

mercoledì 11 novembre 2015

Il Sacro Monte Silenzioso!



IL SACRO MONTE SILENZIOSO!
Prima Parte


E’ un giorno di festa come altri, un po’ più freddo degli ultimi, anche se il sole sta pigramente per sorgere e sono sicuro che il suo calore tra qualche ora si farà sentire. Cartina alla mano la scelta è stata già circoscritta la sera prima su una zona mai calpestata da me e come tutte le volte la curiosità e la voglia di scoprire qualcosa di nuovo mi rendono entusiasta. Non sono solo, il gruppo che si è creato per la ‘spedizione’ odierna non può che essere il più diverso per elementi, passioni, scelte di vita. Ma mi sento assecondato, tra tutti, forse sono l’unico ad avere lo zaino sempre pronto e l’innata voglia di coinvolgere anche altri nelle mie passeggiate fuori porta. ‘Dove ci porti oggi?’. Li guardo, poche volte nella vita mi sono sentito al centro dell’attenzione, non mi è mai piaciuto esserlo, ma sapere di avere il coltello dalla parte del manico ed ogni tanto poter ‘imporre’ qualcosa da far conoscere ad altri, che difficilmente si sarebbero alzati dalla poltrona di casa, mi fa piacere.

Ed è quello che è successo. Molte volte ho sentito parlare, ho letto qualcosa riguardo ai Sacri Monti del Piemonte. Mi sono imbattuto alcuni mesi prima anche in una bella ed interessante mostra fotografica dedicata proprio a loro in collina a Torino. Così ho deciso che anche per me è venuto il momento di affrontarli, ammirarli, godermeli.
Crea. Da lui voglio partire. Provincia: Alessandria. Paesi limitrofi da visitare, a decine, tra i quali Moncalvo, Murisengo e Casale. Comunico la mia decisione.La metà dei partecipanti non sa dove tutto ciò si trovi. Ma approva. Per fiducia, credo. Il viaggio è rilassante, intervallato da chiacchiere e dall’autoradio che con la sua musica ci tiene compagnia nei pochi momenti morti dei nostri dialoghi. Seguiamo le indicazioni, fino ad arrivare alla sommità del monte. Scendiamo, un silenzio avvolge il nostro arrivo. Poche auto nel parcheggio, finalmente il sole si è alzato sopra le nostre teste, sentiamo ancora il fresco della stagione, ma nulla in confronto con quello del mattino. Dobbiamo camminare, non so per quanto, ma credo poco. La strada ci conduce al Santuario Mariano che si affaccia su una piazzetta su cui vi sono altri edifici, compreso un bar ed un ristorante, dove tra poco potremo rifocillarci. Il mangiare è sempre un ottimo stimolo, anche per chi è più pigro.

Raduno tutti al centro della piazza e con un depliant in mano comincio a leggere, come se fossi, per la prima volta in vita mia, una vera e propria guida turistica:
‘Il Sacro Monte di Crea si trova su una delle più alte colline del Monferrato. Come altri sacri Monti, sia del territorio piemontese, che di quello lombardo, anche quello di Crea fa parte di un vasto Parco Naturale. I Sacri Monti, a partire dal 2003 sono stati inseriti dall’UNESCO nell’elenco dei patrimoni dell’umanità’. Faccio una pausa. Nessuno sembra ancora essersi addormentato, sarà per il freddo, penso. Volgo lo sguardo verso la Chiesa ‘Tra poco entreremo nel santuario. La tradizione vuole che sia stato Sant’Eusebio nel 350 d.c.a portare proprio qua una statua lignea della Madonna col Bambino, venerata ancora ai giorni nostri. Sant’Eusebio fu colui che in qualche modo diffuse il Cristianesimo nel pagano Monferrato. La storia del Sacro Monte di Crea comincia con quella del convento e della Chiesa di Santa Maria, meta di pellegrinaggio già dal medioevo.Già luogo di culto nel XII secolo, i Marchesi del Monferrato gli donarono una reliquia della Santa Croce. 

Sono secoli, quelli dal XII al XVI in cui la Chiesa, così come la vediamo oggi, viene rimaneggiata, ingrandita, al suo interno vengono dipinti molti affreschi, create cappelle.Ma allora vi era la chiesa e basta. Solo nel 1589, sotto Vincenzo I di Gonzaga, si cominciò a parlare di un progetto di costruzione di cappelle devozionali del Sacro Monte, sullo stiledi ciò che stava avvenendosu diun altro bellissimo sacro Monte, quello di Varallo’ Mi stacco di nuovo un attimo dalla lettura. Tutti attenti, tranne uno che si è allontanato attratto più dal menù odierno del ristorante che da Vincenzo I di Gonzaga… Mi accorgo però che quel gruppo di amici è diventato più numeroso, quattro signori di una certa età mi guardano ‘Vada pure avanti, sono interessanti le cose che dice… l’ascoltiamo’Guardo gli altri che sembrano volermi dire la stessa cosa … dunque, dove eravamo?‘Diciotto stazioni dedicate ai misteri del Rosario dovevano essere costruite, le prime furono la Natività e la Presentazione di Maria al tempio. Ma il progetto divenne sempre più complesso, addirittura si cominciò a parlare della costruzione di 40 cappelle. Ma torniamo al Santuario. Nel 1735 venne completamente rifatta la facciata… ma poi arrivò l’età Napoleonica e di qua un periodo di declino fino alla ristrutturazione avviata nel 1859. Direi che non ci resta che entrare in Chiesa e dopo affrontare le asperità del Sacro Monte… che ne dite?’ Qualcuno mi guarda perplesso, altri approvano immediatamente, compreso l’uomo che prima si era allontanato e che porta con sé una notizia, a suo dire, fantastica.Il ristorante quel giorno aveva tra il menù ‘spaghetti cacio e pepe’, il suo piatto preferito…

Fine prima parte

giovedì 29 ottobre 2015

Casalvolone, ad un passo dalle risaie



CASALVOLONE, AD UN PASSO DALLA RISAIE!


Paesi. Piccoli, grandi, più o meno piccoli, più o meno grandi. Ma sempre paesi. Ognuno di noi ne porta uno o più nel cuore.Legati ad un momento particolare, ad un avvenimento, ad un parente lontano che si è andati a trovare anni prima e che ti ha fatto scoprire la storia di un'altra realtà.
E poi ci sono quei paesi, si sto parlando proprio di loro, di cui forse non ricordi bene nemmeno il nome se non addirittura il perché ci sei andato, ma nei tuoi pensieri ogni tanto torna un’immagine, anche lui ha fatto parte della tua esistenza. Io con questi paesi ci potrei scrivere un libro, se non addirittura un’enciclopedia. Il fermarmi in una piazza a me sconosciuta è diventatoquasi pane quotidiano. Se non scopro, anche nel comune considerato più ‘scialbo’ del pianeta, almeno una particolarità, una curiosità, un aneddoto, non sono contento. Tranquilli, ma soprattutto tranquillo, in oltre trent’anni ciò non è mai avvenuto.Ogni luogo ha la sua particolare ed inconfondibile storia…
Casalvolone non fa eccezione! Dove si trova? Il problema è che ancora oggi faccio fatica a ricordarne il nome… per me rimane Castelvolone e non chiedetemi perché, ma a forza di inserire su google il nome sbagliato e vedermi comparire solo link cinesi, dovrei finalmente aver assimilato le giuste sillabe che compongono il nome di questo comune in provincia di Novara!

Ciò che ricordo assolutamente è la sua piazza, gli anziani seduti fuori di un bar a bere vino e giocare a carte e la Pieve che si trova nei pressi del cimitero a poca distanza dal centro. La storia di Casalvolone è strettamente legata all’Abbazia Benedettina del X secolo che segnò l’intero periodo medievale del paese. Ma già nel XV secolo iniziò un lento declino che portò al definitivo abbandono dell’opera, i cui beni furono addirittura confiscati in epoca napoleonica.
Casalvolone doveva presentarsi allora come una sorta di ricetto nel quale si accedeva attraverso una porta a torre, crollata solo nel 1968! Oggi posiamo ammirare la Chiesa di San Pietro Apostolo, completamente restauratanell’800, che domina un’ampia piazza. La Chiesa con le sue sei cappelle laterali custodisce un prezioso gioiello… la pala del 1589 raffigurante la Vergine del Rosario, opera di Giuseppe Giovenone, detto il Giovane. Si dice che la pala sia uno dei rarissimi dipinti datati e firmati del novarese risalenti al sedicesimo secolo arrivati fino a noi.

Ma come dicevo poc’anzi, questo paesino di poco più di ottocento anime,a pochi passi dalle risaie e a poca distanza da quella incredibile macchia verde che è la Riserva Naturale della Palude di Casalbeltrame, ha ancora altro da offrire agli occhi del visitatore.  Stiamo parlando della Pieve di San Pietro Apostolo, chiesa romanica del X-XI secolo. Una delle meglio conservate che ho visto, con quel campanile quadrato che sembra tenere sotto controllo la silenziosa pianura circostante. Sulla sua facciata possiamo ancora vedere affreschi del 1495 di San Giuseppe e di San Giovanni ai lati e al centro la Vergine Santissima con i Santi apostoli Pietro e Paolo. E se abbiamo la fortuna di ammirare anche l’interno ci imbatteremo in incredibili dipinti del XV secolo.

Per poter completare il nostro tour giornaliero non ci resta che andare in direzione Novara e giungere alla frazione di Pisnengo, dove ancora oggi è possibile vedere i resti dell’antico castello, inglobati in epoche più recenti ad una costruzione secentesca ad uso rurale.
Ecco, cercavo una curiosità in questo che poteva sembrare uno dei tanti paesini simile ad altri e ne ho trovate tre, ma sono sicuro che se tornassi, da imparare su Casalvolone ne avrei ancora tanto. E chissà se un giorno il futuro e il destino non mi porteranno nuovamente a ‘navigare’ tra immense risaie, cercando la particolarità che ai più sfugge, ed è un peccato. Ogni luogo, in fondo, ha sempre un suo tesoro nascosto!


lunedì 26 ottobre 2015

Voce del verbo sabotare



VOCE DEL VERBO SABOTARE


Il verbo sabotare è di origine francese, “saboter” deriva dal sostantivo sabot che letteralmente significa “urtare con gli zoccoli”. Questa definizione si deve al periodo della Rivoluzione industriale ed alle donne dell’epoca. Esse infatti, stanche di essere sfruttate al lavoro, infilavano degli zoccoli nei macchinari per non farli funzionare correttamente.

Pochi giorni fa lo scrittore Erri De Luca si è presentato in un’aula del tribunale di Torino per ascoltare la sentenza prevista per lui. Non limitandosi ad abbassare la testa aspettando il verdetto, ma difendendo con forza  il verbo da lui utilizzato e dalle eroiche donne coniato: “Confermo la mia convinzione che la sedicente linea ad alta velocità va intralciata, impedita e sabotata per legittima difesa del suolo, dell’aria e dell’acqua”, queste le efficaci parole usate dallo scrittore.

Erri De Luca è stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Ora, non ha molta importanza essere a favore o meno sul progetto del Tav. Ma come lo stesso De Luca ha affermato: “E’ stata impedita un’ingiustizia e comunque, è un buona notizia per il nostro paese”. Già perché anche chi per convenienza o più che altro per disinformazione strizza l’occhio al Tav, ha tirato un sospiro di sollievo. Perché in un luogo dove chiunque possa parlare di “usare la ruspa” o portare una pistola in una trasmissione televisiva, una sentenza di condanna sarebbe stato motivo di grande imbarazzo.

Ancor più indegni però, sono stati quei critici letterari, che hanno gettato fango e sminuito le opere di De Luca a causa di questa vicenda, ma che ora, con ogni probabilità, saliranno festosi sul carro dei vincitori elogiando le sue incredibili capacità di scrittura e rinnegando di aver mai detto castronerie di simili portata nei confronti di una delle penne più abili del nostro tempo.

La sottilissima linea che separa un paese democratico da uno con ‘diverse caratteristiche’ di ordinamento, per il momento non è stata spezzata. Ed è la notizia più bella: l’arma più potente non è una pistola portata da un improvvisato saltimbanco in un salotto televisivo, ma è ancora il vocabolario.


giovedì 22 ottobre 2015

A Cavour in bicicletta


A CAVOUR IN BICICLETTA



Dati Tecnici:
PUNTO DI PARTENZA& DI ARRIVO: PARCO LE VALLERE – META: ROCCA DI CAVOUR
CHILOMETRI PERCORSI: 110,3 - DISLIVELLO: 200 mt (quelli della Rocca)
ORE EFFETTIVE IN BICI: 6,5
MEDIA: 17 KM/H

Paesi attraversati:
Moncalieri – Villastellone (via Tetti Sapini) – Carignano – Osasio – Virle – Vigone – Villafranca Piemonte (via ciclo strada Airasca/Villafranca) – Cavour (su Ciclostrada) – Rocca di Cavour – Cavour (pausa pranzo) – Garzigliana – Macello – Buriasco –Appendini – Scalenghe – Pieve di Scalenghe (via ciclo strada Airasca/Villafranca) – Airasca – None – Parco di Stupinigi – Nichelino - Moncalieri

Premessa. Questo me lo sono inventato io, di sana pianta. Ovviamente affidandomi ad una mappa che segnalasse anche le stradine più piccoline, una IGC, tanto per intenderci. Ho fissato la meta, la Rocca di Cavour e sono partito, da un punto accessibile a tutti, il Parco delle Vallere, al confine tra Moncalieri e Torino. Mi sono lasciato trasportare dalle tante e poco conosciute ciclo strade della nostra Regione.Dovevo provare a me stesso e non solo, che è possibile trascorrere un’intera giornata attraversando strade secondarie le quali ti permettono di scoprirepiccoli paesini che sul percorso si possono incontrare. Così come deve essere il cicloturismo, una scoperta e soprattutto un qualcosa di accessibile a tutti. Perché questo percorso, in tutto od in parte può essere fatto agevolmente da chiunque, ciclisti che voglio allenarsi o famiglie che vogliono trascorrere una giornata diversa dalle altre.

Ed è così che… pronti, partenza, via…
‘La giornata, anche se velata, è mite. E’ il primo week end autunnale e dopo aver abbandonato la mia bici per tutto il periodo estivo facendomi quasi sentire un traditore nei suoi confronti, decido di avventurarmi su nuove strade.
I primichilometri corrono veloci, tra strade conosciute e piccolivicoli di campagna per giungere prima a Carignano e poi suprovinciale, per fortuna poco trafficata, a Vigone. Ovviamente c’è il tempo per una furtiva visita ad Osasio (dove in piazza tanti anni prima avevo assistito ad un concerto) e Virle, con le sue belle chiese e i suoi ben due banchi di mercato del sabato mattina… quale felice tranquillità!

A Vigone non mi posso sbagliare, qualche mese prima avevo percorso la bella ciclo strada, ricavata su vecchia ferrovia (quante se ne potrebbero fare in tal senso nel nostro paese!) che porta a Villafranca… ma mi sbaglio, tanto da doverla prendere qualche chilometro più avanti. Villafranca non la attraverso, vedendo le indicazioni della ciclo strada, di quattordici chilometri, che mi conducono direttamente alla mia meta. Perché Cavour? Per tanti motivi tra cui il ricordo, vago, di una gita scolastica in punta alla Rocca. Così arrivato a destinazione e dopo aver visitato il centro intraprendo via Barge e salgo i pochi, ma durissimi chilometri che mi separano dalla vetta. Peccato per la foschia, perché dalla Rocca si possono scorgere panorami infiniti sulla pianura pinerolese-torinese, fin verso il cuneese.

Contento di essere salito, scendo dal versante nord, più tecnico (non per altro è indicato come pedonale) e mi ritrovo in piazza, dove in un piccolo bar consumo il mio pranzo, fatto di tramezzini e una meritata coca cola. Una mezz’oretta di riposo, dopo oltre 60 chilometri percorsi e riprendo la via del ritorno. Sto attento nel seguire le indicazioni della cartina e decido per una strada alternativa. Purtroppo i primi quattro chilometri sono sulla trafficata statale di Pinerolo, ma appena posso svolto a destra attraversando Garzigliana, Macello e Buriasco, dove riempio la mia borraccia di acqua fresca, quell’acqua che mi permetterà di avere l’energia necessaria per arrivare a Torino.


Da qua in poi la strada la conosco abbastanza bene, tutto su strade di campagna, dove gli unici mezzi motorizzati sono i trattori, devio per la frazione di Appendini, arrivo a Scalenghe e riprendo la ciclostrada per Airasca, passando per stazioni abbandonate, passaggi a livello ormai inesistenti e ammirando ancora una volta il bel Santuario di Pieve di Scalenghe. Le gambe intanto chiedono un po’ di riposo, ma decido di accelerare e togliermi dal traffico di None e giungere il più velocemente possibile nel Parco di Stupinigi, dove l’andatura si fa più dolce, l’assenza di auto e la solitudine mi permettono di godere di un’atmosfera di pace e la vista in lontananza della palazzina mi permettono di rallentare… l’arrivo e la doccia tanto sospirata non sono più un miraggio. Ancora il tempo di attraversare Nichelino e Moncalieri. Pochi chilometri e arrivo a casa! Anche la Rocca di Cavour, pedalata dopo pedalata, è stata conquistata’. 

lunedì 19 ottobre 2015

La seconda prima pietra del Fila


LA SECONDA PRIMA PIETRA DEL FILA

Valentino Mazzola guida i suoi ai Filadelfia
17 ottobre 1926 – Sono le 3 del pomeriggio, il signor Trezzi della sezione di Milano si sta apprestando a fischiare l’inizio della terza giornata del campionato italiano di calcio 1926/27. Sul campo di Via Filadelfia 36 si stanno per affrontare il Torino Calcio e la Fortitudo Roma del campione del Mondo Attilio Ferraris. E’ la prima partita ufficiale su quel terreno di gioco. Il presidente dei granata Enrico Marone Cinzano può godersi lo spettacolo e accogliere sugli spalti il principe Umberto II e la principessa Maria Adelaide. L’ingegnere Miro Gamba, docente al Politecnico, è soddisfatto del suo operato e dei cinque mesi di lavoro che ci sono voluti. L’arcivescovo di Torino porta il suo stesso cognome, ma non è suo parente. Monsignor Gamba benedice il campo e si può cominciare. Il match è equilibrato, ci voglio 70’ per sbloccarlo. Ci pensa Gino Rossetti, poi il Toro segna con una costanza aritmetica. Ogni 5 minuti vengono scanditi dal metronomo realizzativo di Julio Libonatti che ne fa altri 3. Al termine della stagione la Fortitudo Roma verrà sciolta e dalle sue ceneri nascerà l’A.S. Roma, il Torino invece vincerà il suo primo scudetto, che verrà poi revocato per l’oscuro “caso Allemandi”. Gli autori di quei gol entreranno nella storia della società granata, Julio Libonatti e Gino Rossetti sono tutt’ora al secondo e al terzo posto nella classifica dei migliori cannonieri del Toro. Al primo posto c’è invece un brianzolo, che condurrà la squadra al settimo ed ultimo tricolore nel 1976, Paolo Pulici.

17 ottobre 2015 – Paolo Pulici entra al numero 36 di Via Filadelfia e, prendendo il microfono in mano, spiega con semplici parole l’essenzialità del luogo: «Chiedo di fare del nuovo Fila ciò che il Fila era: Una casa sempre aperta. Presidente, non chiudetelo ai tifosi! I miei compagni ed io le cose del Toro non le abbiamo imparate dai muri, ma dalle persone che venivano al Fila e ci spiegavano ci han fatto crescere». Ed il presidente attuale, Urbano Cairo, che tra tanta gente non si scorda di quel giorno di tanti anni fa e dice: «Rivogliamo l’ottavo scudetto toltoci nel ’27, faremo di tutto per riavere quel titolo ingiustamente annullato».


I lavori per ristrutturare il Fila sono iniziati, la prima pietra è stata poggiata, e la seconda inaugurazione è prevista per il 17 ottobre 2016, giorno in cui il vecchio impianto compirà 90 anni. Sarà un centro di allenamento con annesso museo. Qui giocò il Grande Torino, le qui gesta sono diventate mito. La prima squadra non vi disputata partite ufficiali dal 1963, ma fino a metà degli anni ’90 i granata vi si allenarono. Poi la demolizione avvenuta nel 1997. Dopo vari fallimenti, ora ci siamo! Un nuovo ciclo avrà inizio, storia e leggenda torneranno a fondersi. Il tutto al numero civico 36 di Via Filadelfia. 

giovedì 15 ottobre 2015

A spasso nel regno del Fungo Porcino - parte 2



A spasso nel regno del Fungo Porcino

Giaveno, centro della Val Sangone
-seconda parte-


Giaveno. E che dire delle tante iniziative che animano la meravigliosa cittadina, culla della Val Sangone? Tra le altre manifestazioni è bene soffermarsi su quelle dedicate al vero simbolo di Giaveno, il Fungo Porcino. La cittadina è nota per essere la capitale del fungo, protagonista dei boschi circostanti. In stagione è presente quotidianamente il mercato dei funghi dove i ‘Boulajour’ propongono sulle bancarelle il frutto della loro ricerca. Al fungo, tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre vengono dedicate due manifestazioni, il ‘Fungo in festa’ e il concorso enogastronomico ‘Fungo d’oro’ in cui vengono proposte iniziative a tavola, spettacoli, premiazioni dei ricercatori e mostre micologiche.

Altri importanti appuntamenti nel panorama giavenese sono il ‘Mercatino delle pulci e dell’antiquariato’ che si  snoda ogni quarta domenica del mese per le vie del centro, ‘Maggionatura’, mostra-mercato del naturale e dei prodotti artigianali, ’Cascine aperte’ occasione in cui viene data la possibilità di visitare le cascine e i laboratori da cui nascono i favolosi formaggi locali, la ‘Rievocazione Storica’ del gruppo Ottone III, dove per due giorni le vie del centro storico sono catapultate indietro di oltre mille anni, la ‘Città del buon pane’, iniziativa che si tiene a settembre e dedicata alla panificazione e per ultimo è bene ricordare il colorato e vivace mercato del sabato mattina.

Il nostro itinerario può a questo punto spaziare verso altri luoghi, luoghi che ci portano a realtà diverse, quelle centinaia di piccole realtà che sorgono intorno al Paese. Tante sono infatti le borgate di Giaveno, alcune ormai abbandonate, altre, le più grandi, ancora bacino importante per la collettività e testimonianza storica e culturale di uno sviluppo che negli anni non si è concentrato solo ed esclusivamente sul capoluogo.
Tra queste meritano una visita borgata ‘Villa’ dove tutt’ora è visibile una casa-fortezza del 1290 conosciuta come ‘Arco delle Streghe’ a causa delle urla e dei lamenti che i valligiani avrebbero sentito provenire dalla torre.  Da ammirare inoltre, sempre nella medesima borgata, il ‘Santuario della Madonna del Bussone’. In frazione Selvaggio la ‘Lourdes delle Prealpi’ è il simbolo e centro dell’intera borgata, mentre in borgata ‘Sala’ sorge lo storico Castello degli Albezi (XIII secolo) ora residenza privata.

Giaveno è dunque meta ricca di decine di attrattive e possibilità sia dal punto di vista storico-culturale, sia dal punto di vista gastronomico,dove trascorrere una o più giornate fra shopping, feste e natura e dove godersi il verde che copioso circonda la città con passeggiate ed escursioni a piedi o in bicicletta.
Il ricordo che se ne avrà, sarà quello di una cittadina adagiata ai piedi dei monti, capace di trasmettere arte, cultura territoriale, ma anche relax e serenità.

E una volta lasciato il centro, mentre torniamo verso le nostre case, è bene voltare lo sguardo ancora una volta e rimanere incantati di fronte a quelle maestose, immobili e silenziose montagne che fanno da cornice a questa cittadina ‘capitale del fungo’ nella splendida e suggestiva Val Sangone.   

lunedì 12 ottobre 2015

La legge del fungo

La notizia del lunedì sera

LA LEGGE DEL FUNGO

Sempre più impavidi raccoglitori improvvisati si pentono di non essersi fatti consigliare da qualcuno che ne sa più di loro

Un muratore romeno di 54 anni residente nel torinese, è stato sottoposto a un trapianto di fegato all’Ospedale Molinette di Torino, dopo aver ingerito un imprecisato quantitativo del velenosissimo fungo Amanita Falloide. Nel corso della settimana scorsa poi un’intera famiglia formata da sette componenti, sempre di origine romena, è rimasta in osservazione dopo aver pranzato con un risotto a funghi, raccolti per conto proprio al Parco della Maddalena. La più piccola di loro ha 7 anni.

Dopo questa ennesima notizia all’apertura della stagione dei funghi, c’è da chiedersi quanto ancora la gente possa continuare ad essere così superficiale su un prodotto così rischioso se non conosciuto. Perché lasciato il posto al momento di doveroso rispetto che la mancanza di salute deve avere, c’è da prendere atto della totale idiozia delle persone coinvolte nel fatto, niente di più.

Si tratta di conoscenza. Se si vuole andare a funghi bisogna farlo le prime volte con qualcuno che sia esperto. Come si può solamente pensare di raccoglierli così, in base al colore, al profumo, all’aspetto? I nostri boschi, e non solo, brulicano (anche se a quanto pare questa annata non ha regalato grandi soddisfazioni) di funghi commestibili e straordinari. A partire dalla più comune Armillariella Mellea, i chiodini parlando semplice, o meglio ancora dire le famiòle. I porcini, re incontrastati dei boschi, e poi ancora il Leccinum aurantiacum (la crava rossa o nera) e la Romaria aurea (la manina dorata).

Serve la cultura del fungo. L’improvvisazione, o meglio la stoltezza, porta problemi gravi. E servono poi anche 30€. Già perché questo è il costo della tessera per la raccolta. Perché se non bastasse l’imprudenza della gente ci si mette anche la follia delle istituzioni. Per raccogliere i frutti di madre natura in zone pubbliche occorre pagare. Qualcuno ha pensato a quanti boschi sarebbero più battuti e meno lasciati a loro stessi nella sporcizia senza questa tassa/fesseria? Figuriamoci…

Non resta che appellarsi al buon senso delle persone che frequentano i terreni boschivi, e fortunatamente in Piemonte sono ancora in molti che ce l’hanno, e sperare che queste istruiscano le altre. Per le istituzioni invece dispiace, non c’è più niente da fare.

Armillariella Mellea (chiodini, famiòla)
Leccinum aurantiacum (crava rossa)
Porcino
Romaria aurea (manina dorata)