mercoledì 18 marzo 2015

Il Castello di Cereseto: sarà che non te lo aspetti!



SARA’ CHE NON TE LO ASPETTI!



Sarà che non te lo aspetti!
E’ probabile. L’itinerario prevedeva oggi altri luoghi, alquanto meravigliosi, ma già nella mente di ognuno di noi in qualche modo, prima di partire. Ma è solo quando ti trovi inaspettatamente dinnanzi a cotanta bellezza che ti rendi conto di quanto sia meraviglioso il nostro paese, la nostra regione, nella quale in ogni provincia trovi una chicca, una rara meraviglia, un inatteso borgo che ti guarda e ti invita a visitarlo. E dopo aver‘goduto’ del Santuario di Crea, questa giornata primaverile in dicembre ci regala un gioiello incredibile: Cereseto.
Sono da poco passate le due di questo giorno di festa quando la truppa di fumachenduma,‘i fumachenduma’, varcano i confini del territorio di Cereseto. La strada per il centro ci porta ad inerpicarci sino alla Chiesa. Parcheggiamo l’auto in un prato in punta al paese. Scendiamo e ci meravigliamo del panorama che si apre davanti ai nostri occhi. Sul poggio proprio di fronte a noi il Santuario di Serralunga di Crea, appena visitato ed ai nostri piedi una parte di questo luogo incantevole chiamato Monferrato. La Chiesa purtroppo apre alle tre, non sarà così, passeremo più tardi, ma sarà ancora chiusa. Così decidiamo per una passeggiata nel borgo e soprattutto speriamo di avere la fortuna di trovare il castello visitabile con qualche guida che ci possa raccontarne la storia. Il castello non è bello, è bellissimo, uno dei più belli e ben conservati (stiamo parlando di esterni)che abbia mai visto. Con le sue tre torri a pianta quadra, una a pianta ottagonale, i mattoni rossi, le piccole finestre da cui sono sicuro si possa dominare una vista a trecentosessanta gradi su questa terra che oggi ci ospita.

Eppure in questa calda domenica sembriamo gli unici ad esserci spinti fin quassù per ammirare questo castello che volge lo sguardo su uno dei Sacri Monti del Piemonte. Cominciamo a porci delle domande. Tutte le entrate sono chiuse. Ci sa di disfatta, di qualcosa di incompiuto… una delle tante eccellenze del nostro paese chiuso ai turisti, agli amanti dell’architettura e della storia? Parrebbe proprio così. Possiamo solo sbirciare da qualche vecchia inferriata. Il cortile, o forse uno dei cortili interni non sembra essere ordinato, l’erba non tagliata da tempo e tutto ciò rende quella magnifica atmosfera che si era creata… triste e un’unica domanda viene da porci: perché? Perché abbandonare tutto così, perché permettere che tutto ciò che potrebbe e dovrebbe essere di tutti, amato da tanti, lodato da molti, invece è guardato con occhi tristi e nostalgici da quattro ragazzi che si sono spinti ancora una volta fuori dalla solite rotte per vedere cosa offre l’oltre?

L’oltre oggi ci offre una struttura incredibilmente bella e inutilizzata, quasi abbandonata, o comunque adibita a residenza privata. Ma soprattutto nessun pannello informativo, nessun cenno alla storia di questo piccolo borghetto dominato da questo enorme e intatto castello in stile gotico. Ce ne rammarichiamo un po’, come tutte le volte in cui vieni deluso e sai che basterebbe poco per renderti allegro, ma soprattutto più istruito. Come Cereseto ce ne sono a centinaia, a migliaia in tutta Italia di situazioni del genere. Tutto ciò non vuole essere una critica, ma una constatazione di una ordinaria domenica in cui quattro persone si sono ritrovate ad ammirare una bellezza… a metà!
Per chi, per caso o per scelta, un giorno si trovasse su questo splendido colle del Monferrato, a Cereseto, ecco due accenni sullo splendido castello che potrete vedere (esteriormente). Si tratta di una costruzione recente, fine ‘800, inizi ‘900, in stile medievale, voluto dall’industriale Riccardo Gualino e abitato fino a pochi decenni fa. Vi èinoltre un ammirevole bassorilievo raffigurante il ritorno di un contadino russo dalla Grande Guerra.L’interno, come già detto, noi purtroppo non possiamo vederlo… ma non demordete, nonostante tutto, vale la pena ugualmente arrivare fino a qua!



giovedì 12 marzo 2015

Roure: il paese dopo le Alpi



ROURE, il paese dopo le Alpi


Quando si è piccoli, c’è un momento nel quale si ha la voglia di spostare sempre un po’ più in là le proprie ‘colonne d’Ercole’. Mi spiego meglio. Inizia nella mente a delinearsi una propria mappatura del luogo in cui sei da poco stato catapultato: mia nonna vive in quel paese, mio papà lavora in quello, una volta sono stato una giornata a Vattellapesca che è proprio vicino a dove mia zia ha una vecchia casa. Ebbene, le mie reali origini mi spingevano a ricordare i paesi della Val di Susa e poi quelli della Valsangone. Fino ad arrivare a Coazze. E lì mi bloccavo un attimo…e dopo Coazze? Chiedevo: e dopo Coazze che paese c’è? Ci sono le Alpi mi rispondevano i miei parenti più generosi di parola. Sì, va bene, mi dicevo io, ma confinerà pure con qualche altro comune dopo le Alpi? La mia giovane mente, nata già sotto il dominio dell’ubanizzazione, non poteva accettare una risposta così sempliciotta. Per cui dopo aver ricevuto nuovamente Alpi come affermazione per qualche altra volta, qualcuno mi accontentò e disse: Roure! Coazze dopo le Alpi confina con Roure!

Per anni la mia esigenza di spostare gli orizzonti è stata facilmente accontentata da questa risposta.

Roure è un paesino della Val Chisone, situato nel territorio delle valli occitane. In epoca fascista, come successe per molti altri paesi, il nome venne cambiato in Roreto prima e Roreto Chisone poi, pensando con beneficio di ignoranza che Roure fosse un francesismo. Significa invece in occitano ‘quercia’, e la quercia è il simbolo del paese. Il nome italianizzato è rimasto fino ad un referendum del 1975, che ha riportato la denominazione Roure. Non esiste un centro abitato che porti questo nome, ma il comune è composto da quattro frazioni più grandi e da una vasta quantità di altre borgate. Per la realtà una di queste quattro frazione porta il nome di Roreto, che comunque prima del fascismo si chiamava Chargeoir.

La prima di queste che si va incontrando giungendo da Pinerolo è Castel del Bosco, poi Roreto, Balma e Villaretto. Incomincio proprio da quest’ultima. La strada per arrivare al centro è raggiungibile con un’auto poco ingombrante, la via è stretta, ma comunque molto particolare. Sulle case ci sono raffigurazioni della vita di pastorizia e di agricoltura: una pecora che si abbevera, la benedizione del bestiame. La chiesa di San Giovanni Battista svetta su tutto, ma anch’essa è incastonata tra le case. I luoghi sono bellissimi, per cui consiglio ai visitatori di lasciare la macchina ad inizio borgata e di venir su con le proprie gambe, una bella passeggiata non può che migliorare la giornata.
Anche perché nella frazione seguente, Balma, è praticamente impossibile passare su quattro ruote essendoci un pezzo non più largo di 1,3 metri. Balma è la sede del municipio, c’è il monumento per i caduti e quello per i donatori, in più una caratteristica cappella controlla le abitazioni sottostanti.


Voglio un caffè, la scritta bar nella frazione di Roreto mi rinfranca, è chiuso. Così sfoggio il mio incerto franco provenzale che avevano tentano di delimitarmi alla sola Coazze non indicandomi un paese oltre, e chiedo dove posso prendere un caffè. Mi viene indicata un’osteria, dei ‘tre scalini’. E’ piccola ma familiare, c’è un odore che i più miserabili banalizzerebbero con la puzza, ma che è puro ossigeno per un ormai cittadino come me. La gente è accogliente e parla di andare a Roma per manifestare contro il governo, le solite cose. Prendo il mio caffè e ringrazio la compagnia. Prima di salire in macchina scorgo lo stemma cittadino con la quercia e i colori giallo e rosso, quercia simbolo di forza, resistenza e robustezza. Accendo il motore e scendo per la Val Chisone. Torno alle grandi strade e ai veri cattivi odori, torno nelle mie colonne d’Ercole.

mercoledì 4 marzo 2015

I miracoli di Mondonio



I MIRACOLI DI MONDONIO


Quanto dista Castelnuovo Don Bosco, in provincia di Asti, dalla stupenda città salentina di Lecce? Sicuramente più di mille chilometri. Eppure questi due luoghi così diversi e distanti hanno qualcosa in comune, o meglio un Santo in comune. Si tratta di Domenico Savio, nato a San Giovanni di Riva presso Chieri il 2 aprile 1842, ma vissuto e morto a Mondonio di Castelnuovo Don Bosco il 9 marzo 1857 e a cui è stata dedicata una sola Basilica, che si trova proprio nella città pugliese!
Forse non tutti conoscono la vita di Domenico Savio e non molti percorrendo la strada che da Riva presso Chieri porta nell’astigiano si sono fermati anche solo per qualche ora a passeggiare in quell’incantevole paesino che oggi è conosciuto appunto come Mondonio San Domenico Savio, frazione di poco più di 100 abitanti di Castelnuovo Don Bosco.
Domenico Savio e Don Bosco, due persone i cui nomi sono fortemente legati alla Chiesa Cattolica, maestro e allievo. Secondo di dieci figli, Domenico incontrò il fondatore dei Salesiani, Giovanni Bosco appunto, a Morialdo il 2 ottobre nel 1854, mostrando da subito l’intenzione di prendere i voti sacerdotali, anche se ben sapeva di non avere le possibilità di studiare!Ma Giovanni Bosco lo accontentò prendendolo come allievo presso l’oratorio di San Francesco di Sales, nel capoluogo piemontese.
Pur distinguendosi per l’assiduità ai sacramenti della penitenza e dell’Eucarestia e per la profonda devozione all’Immacolata, purtroppo Domenico ebbe una vita brevissima, morì infatti non ancora quindicenne di colera. Ma prima di morire il giovane ragazzo lasciò in eredità un biglietto al suomaestro in cui gli chiedeva ‘Mi aiuti a farmi Santo?’. E fu proprio Don Bosco ad esaltarne la figura e le virtù, tant’è che il 5 marzo 1950 venne proclamato beato e successivamente Santo 4 anni dopo, il 12 giugno del 1954.
Ma come si sa, la Chiesa Cattolica, per proclamare Santa una persona necessita di un miracolo. E in questo caso dobbiamo fare un balzo in avanti nel tempo, dal 1857, anno della morte del santo al 1936 e precisamente il primo marzo, giorno in cui la ragazzina sedicenne Maria Consuelo, nella capitale catalana, Barcellona giocando a palla cadde rompendosi il braccio. Dopo aver consultato diversi dottori e specialisti, senza essere arrivata ad una soluzione per le sue fratture, disse di aver sognato il Cardinale Giovanni Cagliero che la invitava esplicitamente a pregare e recitare una novena a Domenico Savio. Il giorno successivo, nonostante il suo scetticismo, ma dolorante, iniziò la novena. Alle 4 di notte del venerdì tanto atteso il braccio miracolosamente guarì. Un altro miracolo è poi attribuito a Domenico Savio, un’altra guarigione, quella di Albano Sabatino, un bambino di 7 anni, campano malato di setticemia.

Oggi passeggiare per il paese del Santo significa fare un passo indietro nel tempo e riscoprire la casa in cui Domenico ha vissuto, la scuola che ha frequentato, ma soprattutto girovagare per piccole stradine calpestate quasi due secoli fa da un piccolo bambino che grazieallasua tenacia e la sua immensa Fede ancor oggi ricordiamo e preghiamo.