mercoledì 21 dicembre 2016

Racconti di Natale



RACCONTI DI NATALE!

Ora mettetevi comodi, seduti. Accendete il camino, se non ce l’avete non importa, basta una candela.Mettete una musica di sottofondo e lasciatevi trasportare da questa magia del Natale.
Quel Natale che ogni anno viene a bussarci alla porta, che trasforma ogni animo, anche il più burbero, malinconico e cinico in un essere senza tempo, che almeno la notte del 24 dicembre ha voglia di abbandonare cattivi pensieri e riflessioni negative, rifugiandosi in quel caldo tepore fatto di umiltà e umanità, magari ascoltando una delle tante storie legate a questa giornata. E di storie ce ne sono tantissime, molte che partono, o meglio nascono anche dal nostro Piemonte…

Storia 1
Il Piemonte è terra di confine, tra Stati, ma anche tra Regioni. Un tempo quella parte di terra che separa la nostra regione dalla vicina Liguria era presidiata da doganieri, pronti ad imporre dazi su tutte le merci che venivano importate, specialmente quelle che erano ritenute più pregiate di altre. E quali tra i tanti prodotti potevano essere considerati importantise non le acciughe che giungevano dal golfo genovese? Difficile era passare inosservati alla dogana, ma un contrabbandiere riuscì nell’impresa nascondendo il pesce sotto il sale e riuscendo a passare senza molti problemioltre il confine. Il risultato? Da allora le acciughe sono state inserite nei menù di Natale di tutte le province del Piemonte…

Storia 2
Un’altra storia, questa meno allegra della precedente, ci arriva dal pinerolese, o meglio dalle magnifiche montagne che sovrastato la cittadina alle porte della Val Chisone. Siamo al 25 dicembre del 1400, oltre 600 anni fa, quando il Monte Albergian divenne rifugio di decine di valdesi in fuga verso la Val San Martino. Purtroppo uomini e donne vennero sopraffatti dal freddo inverno e non riuscirono a sopravvivere. La leggenda narra che ancora oggi, a Natale sul monte, i loro spiriti vaghino inquieti…

Storia 3
Quella del pastore Gelindo è invece la storia per eccellenza legata indissolubilmente al Natale ed alla nostra terra. Gelindo è un sempliciotto, un pastore sempliciotto, un testone dal cuore tenero. Tutti lo hanno visto almeno una volta, se non altro in ogni presepe che si rispetti non può mancare, lui con il suo immancabile agnello disposto intorno al collo e legato sul petto nelle quattro zampe!
Uomo del Monferrato, lascia la sua casa per obbedire al censimento dell’Imperatore ritrovandosi dalle parti di Betlemme. Ed è proprio qua,come la leggenda narra, che incontrò sul suo cammino Giuseppe e Maria, e fu lui ad aiutarli a trovare la grotta dove prestosarebbe nato Gesù!

Piccoli aneddoti, da tramandare o da raccontare proprio il giorno di Natale a grandi e piccini, per una festa, quella del Natale che nasce secoli fa, ma che ancora oggi emoziona con i suoi racconti e le sue leggende sempre attuali!

Buon Natale!!!

Alla prossima

Luca B.

lunedì 12 dicembre 2016

Quell'albero di Natale dalle origini piemontesi



QUELL’ALBERO DI NATALE DALLE ORIGINI PIEMONTESI!



Natale, quale grande evento, per grandi e per piccini. Sempre prima inizia il periodo natalizio in cui si addobbano balconi, si prepara il presepe e soprattutto si fanno illuminare i primi alberi di Natale. In tutte le case, paesi, regioni… in tutta Italia l’albero di Natale è simbolo di festa, gioia, luce. Come il Natale stesso, l’antica festa della luce.
E molto antica è l’usanza di addobbare l’albero.Addirittura dobbiamo risalire alle tribù dei celti,le quali amavano decorare le piante durante le feste del solstizio d’inverno. Il cristianesimo per un periodo ne vietò la diffusione, di questa usanza, sostituendo l’albero con l’agrifoglio, simbolo della corona di spine di Cristo, il quale rappresentava meglio il periodo a cui ci si stava avviando.
Bisogna salire su di qualche migliaio di chilometri per vedere i primi abeti decorati nel nostro Continente. L’amata Europa abbraccia l’usanza al nord, ma proprio al nord! E’ infatti l’Estonia, a Tallin, a far nascere l’uso moderno dell’albero di Natale, quando nella piazza principale, davanti al municipio, un enorme abete fu al centro di festeggiamenti e teatro attorno al quale ragazzi e ragazze danzavano alla ricerca dell’anima gemella!

E in Italia? Si, voglio dire, nel nostro Paese a quando risale questa tradizione a cui non possiamo ormai fare a meno? La data non è certa, il periodo sì! Siamo nella seconda metà dell’ottocento, l’Italia è un paese unito, anche se ancora con tanti problemi da affrontare e da risolvere, quando a Roma, dove i regnanti si sono ormai trasferiti, Margherita di Savoia, al Quirinale, allestisce il primo albero di Natale nel bel Paese. Basta poco, un passaparola veloce ed in pochi anni il simbolo si trasforma in tradizione, i primi del ‘900 vedono un’Italia con alberi decorati da nord a sud e viceversa. 

La prima Regina d’Italia, nata a Torino il 20 novembre del 1851 e moglie di re Umberto I, fu la prima dunque a dare il via ad una tradizione che ancora oggi resiste e che dal dopoguerra in poi, non solo nel nostro paese, ma in tutta Europa e nel Nord America ha creato una vera e propria industria ‘natalizia’.
Chissà se all’epoca l’amata regina avesse messo in preventivo tutto questo e se decorando quel primo albero di Natale romano avesse immaginato che un giorno ogni casa, ogni bimbo, ogni adulto, ogni anziano avesse legato la festa del Natale in qualche modo a quell’albero che 150 anni fa aveva poco di natalizio, ma tanto di regale!



Alla prossima

Luca B.

martedì 29 novembre 2016

Sacra di San Michele.. una delle tante leggende




SACRA DI SAN MICHELE… UNA DELLE TANTE LEGGENDE!



Ogni volta che, anche da lontano, ammiro in tutto il suo splendore il simbolo del Piemonte, che è la Sacra di San Michele, penso alle decine di leggende e storie che a quel monumento sono legate. Sin da piccolo, quando i miei nonni mi portavano lassù, sul monte Pirchiriano, da cui si può dominare la magica Valle di Susa, le mie orecchie sono sempre state attente ad ascoltare ogni singola sfumatura di quegli aneddoti, di quelle vicende. Poi sono cresciuto, ho letto libri e sfogliato pagine web sulla Sacra di San Michele e assimilato conoscenza e cultura, arte e millenni di vita che si sono fuse e confuse con piccole storie tra il reale, l’immaginario, l’esoterico ed il sovrannaturale. Il tutto mi è sempre apparso affascinante, come lo sono le fiabe che i bambini amano ascoltare.
Ma di tutte queste notizie che ho ascoltato, letto, assorbito, amato, una in particolare mi è sempre rimasta impressa. Sarà per la sua crudeltà o semplicemente perché visitando il monumento e avvicinandomi alla Torre che sovrasta il monte, guardando giù in quello strapiombo, ancora ripenso a quella donna che secoli fa, proprio da lì si è gettata…

…il suo nome era Alda, la ‘bella’ Alda, una ragazza affascinante e soprattutto devota. Amava la Sacra, dove, come molti altri del suo tempo si rifugiava per scappare da mercenari e conquistatori medievali senza scrupoli ein cuitrascorreva gran parte del tempo a pregare. Proprio in uno di questi momenti di raccoglimento venne assalita insieme ad altri da alcuni soldati. La ragazza riuscì a ribellarsi, a scappare sino alla torre che oggi porta il suo nome e continuare a pregare.Non ci pensò un instante, decise di continuare nella sua fuga… lasciandosi cadere nel vuoto. Centinaia di metri di strapiombo tra castagni, querce e soprattutto rocce! La sua fine sembrava inevitabile, non fosse stato per gli Angeli e la Madonna che la salvarono! Arrivò a valle intera, sana, salva e con pochi graffi. Chissà cosa deve aver pensato la bella Alda in quel momento, alzando lo sguardo verso il cielo, verso quel monte che amava e che le aveva dato una seconda incredibile opportunità!

Ma anche le seconde opportunità vanno difese. Credendosi forse invincibile ed indistruttibile, ma soprattutto protetta da forze divine e scontrandosi con persone che non credevano alla sua storia, decise di riprovarci. Da lassù, sì, da lassù, da dove si era già gettata una volta.Doveva andare per forza bene… anche una seconda. E questa volta non sarebbe stata sola con i suoi Angeli, una schiera di uomini sarebbe stata pronta ad osservarla, ad applaudirla, ad incitarla. Fu per vanità, per superbia e forse anche per denaro che quel volo si tramutò in tragedia…
Ancora oggi i valligiani che si tramandano la vicendadi quella ragazza di generazione in generazione affermano che 'l toc pigross a l'è l'ouria’ ovverol’orecchio fu la parte più grande che ritrovarono della donna.Realtà o finzione, la leggenda della bella Alda è una di quelle storie che nella mia mente rivivono ogni volta che, giungendo dalla città, vedo apparire quel ‘sogno’ sospeso in aria, che è la Sacra di San Michele!
Alla prossima

Luca B.

lunedì 14 novembre 2016

Seconda solo...alla Statua della Libertà




SECONDA SOLO… ALLA STATUA DELLA LIBERTA’!!!


 Dove
Piazza San Carlo è considerato il salotto di Torino, una delle piazze più belle del capoluogo piemontese, forse una delle più belle e meglio conservate piazze di tutta Italia. Due sono le chiese che vi si affacciano, Santa Cristina e quella dedicata a San Carlo. Ma chi è stato in vita quest’ultimo? Piemontese, ma non torinese, natio di Arona, Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, è stato colui che nel ‘500 è riuscito a convincere Emanuele Filiberto a trasferire la sindone da Chambery a Torino, in modo da poterla andare a venerare in un luogo più vicino rispetto la Francia. Morto il 3 novembre del 1584 Carlo Borromeo ha dedicato la sua vita all’assistenza spirituale e materiale, divenendo punto di riferimento nei periodi di pestilenze ed epidemie. Venne canonizzato solo 26 anni dopo la sua morte!
Fu suo cugino a voler dedicare a San Carlo un sacro monte, nei pressi del suo paese natale, nella bella cittadina sul lago Maggiore e costruire una statua che fosse ben visibile anche dal lago stesso.

Descrizione e Storia
Fu così che il 19 di maggio del 1698 venne inaugurato il monumento dedicato al santo,anora oggi conosciuto da tutti come il Sancarlone. Si tratta di un’opera gigantesca, alta 35,10 metri di cui 11,70 di piedistallo di granito e completamente visitabile. Si può entrare, infatti, all’interno del monumento e grazie ad una serie di scale, si può salire sino alla testa di San Carlo e da lì poter ammirare un panorama incredibile!

Perché andarci
Luoghi suggestivi, panorami mozzafiato ed un’esperienza più unica che rara, quella di poter entrare all’interno di una statua, rendono questo monumento tra i più visitati e importanti di tutta la Regione, con migliaia di turisti pronti ogni anno ad arrivare ad Arona. Chi giunge o chi trascorre anche solo qualche giorno sul Lago Maggiore, oltre alle isole borromee, non può non inerpicarsi per il Sacro Monte e godere di quest’opera fatta di lastre di rame battute a martello, che oggi festeggia gli oltre 300 anni di vita…

Curiosità
Senza dimenticare che il Sancarlone è la seconda statua visitabile al mondo dopo… sua maestà, la Statua della Libertà, di New York, alta circa dieci metri in più del monumento piemontese!!!!

Alla prossima

Luca B.

lunedì 24 ottobre 2016

Quel luglio con la nebbia - l'eccidio del Colle del Lys


QUEL LUGLIO CON LA NEBBIA
L’ECCIDIO DEL COLLE DEL LYS



L’aria gelida penetra nelle ossa. Il sole è alto, ma non caldo oggi e va a riflettersi su quel manto bianco che copre le montagne tutte intorno. Lo spettacolo è immenso, incredibile, gelido. Non si ode una voce, un rumore, solo il vento. Non si vede anima viva, non si sente alcun odore se non quello della fredda aria.
Dal centro della piazza tutto si può vedere, basta roteare il corpo fino a spingere gli occhi su, per il Monte Arpone. Dal Colle del Lys la vista è stupenda, quella Torre Circolare che ti annuncia di essere arrivato alla meta. Quella Torre circolare simbolo di guerra, speranza, infamia, storia. Quella Torre Circolare posta verso la Vale di Susa, dalla parte opposta di quella Valle di Viù dove una fossa comune, tanti anni prima,ha raccolto i corpi di 32 giovani uomini periti proprio su questo colle tanto amato dai valligiani, dagli escursionisti, dai ciclisti.

Si sente ancora quell’atmosfera di disfatta, di resa, di cotanta cattiveria che ha animato la notte tra il primo e il due di luglio del 1944, notte in cui, avvolti da una strana ed estiva nebbia, i partigiani della diciassettesima Brigata Garibaldi si sono scontrati con le truppe nazifasciste.
Uno sparo singolo, poi una raffica, questo fu l’inizio di uno dei più devastanti rastrellamenti contro le brigate garibaldine che si trovavano nella zona. Difficile fuggire, dove? Nei boschi, su in montagna,tra quella nebbiolina, ma troppi i mille tedeschi e fascisti per tentare un attacco. Ed allora l’unico ordine possibile fu ripiegare… nove vennero uccisi subito, ventitré catturati, torturati e trucidati.

Solo il quattro di luglio del 1944, quando tutto era ormai passato, anche il più grande dei mali, alcuni partigiani aiutati da contadini e da parroci della zona poterono seppellire i poveri ragazzi.
L’eccidio del Colle del Lys viene ricordato tutti gli anni, una lunga fiaccolata notturna ricorda quell’alba, quella notte senza una fine in cui vennero calpestati i sogni di giovani uomini.
Dal centro della piazza tutto si può vedere, basta roteare il corpo, la Torre Circolare, sorta per ricordare non solo quel due di luglio, ma tutte le 2024 persone cadute durante la Resistenza e appartenute alle Brigate Garibaldi, l’Ecomuseo della Resistenza Carlo Mastri e la via che conduce verso Niquidetto, proprio dove ancora oggi riposano i corpi e le anime di quei combattenti.
Solo il silenzio. Solo il silenzio è l’eterna testimonianza di questo scorrere del tempo, di quel tempo che sembra essersi fermato decenni fa e sembra voler e poter insegnare ai posteri qualcosa.Se solo imparassimo ad ascoltarlo, quel silenzio…





Luca B.

mercoledì 19 ottobre 2016

Asti


COMUNE DI ASTI

Come potete vedere dall’immagine qua sopra, lo stemma del comune di Asti è formato da uno scudo rosso con una croce d’argento. Sopra lo scudo è presente una corona utilizzata dai conti. Lo stemma è completato da due foglie di palma legate da un nastro rosso ed un cartiglio che riporta il motto latino “Aste Nitet Mundo Sancto Custode Secundo” che letteralmente significa “Asti risplende nel mondo per merito del suo Santo Custode Secondo”.  La sua origine è da ricercare nel periodo delle crociate, infatti molti astigiani ne presero parte nel 1202 e nel 1209. Lo stemma subì una trasformazione sotto il dominio napoleonico, dove lo scudo venne diviso in quattro parti, così recita un documento dell’epoca: “ Al primo inquartato a destra delle città di seconda classe, che è d’azzurro ad un N sormontato da stella raggiante d’oro, a sinistra di sabbia a tre lance antiche disposte in palo d’oro, al secondo campo d’azzurro e di rosso, dalla croce d’argento toccante gli orli, fondo blu, rosso cupo, bianco, giallo”. Lo stemma subì un cambiamento anche in epoca fascista, quando fu imposto il capo del Littorio.

lunedì 10 ottobre 2016

Dall'Olimpo alla Val D'Aosta



DALL’OLIMPO ALLA VAL D’AOSTA


Ogni tanto ci si chiede da dove derivi il nome di un luogo che abbiamo attraversato più e più volte. Nomi strani, semplici che non riusciamo però proprio a collocare in alcun modo in una precisa sfera a noi conosciuta.
E’ quello che mi è capitato, ad esempio,attraversando uno dei tanti paesi della Val d’Aosta, uno dei tanti con quel suono e quella parlata francese che ti rimane impressa e che porti la sera a casa. Montjovet! Montjovet è proprio uno di quei luoghi, di quei luoghi che, attraversati dalla Dora Baltea e dalla Statale 26, passano, corrono, volano via lasciando spazio e tempo ad altre mete magari più turistiche, alte, famose.
Eppure quel nome mi ha sempre fatto pensare a qualcosa di sacro, soprannaturale, divino. E questa è la sua storia….

Montjovet è un bel paese di quasi duemila anime, con quel fiume, la Dora, che mai come in questo tratto sembra così vivo. 2174 è la vetta più alta del comune, si tratta del Mont Lyan, maestoso, da cui si domina parte della valle stessa. Il territorio è attraversato da uno dei più importanti canali irrigui della Regione, il Ru d’Arlaz.
In epoca fascista il nome Montjovet venne cambiato, o meglio italianizzato,come quello di molti altri paesi, in Mongiove. Monte di Giove, quindi! Ma cosa c’entra la più grande divinità romana,
paragonabile allo Zeus greco, re dell’Olimpo, con questa terra?
Eppure Giove, come narra la leggenda, sembra essere quasi di casa qua, a Montjovet. I romani gli dedicarono un edificio di culto, nonché il monte sul quale quest’ultimo sorgeva, il Monte di Giove. Il tempietto, situato con ogni probabilità a Barmas era meta di pellegrini che qua pregavano la propria divinità. Ma Giove non è stato clemente, approfittando della propria forza e potenza amava terrorizzare gli abitanti del vallone di Peti-Monde, facendo di tutto per bloccare le acque del fiume, uccidendo poveri viaggiatori e viandanti, cercando di distruggere il piccolo borgo di Rodoz. Solo due angeli inviati da Dio riuscirono a placare gli animi di Giove schiacciando, nel vero senso della parola, la faccia della divinità su una roccia, sulla quale, si dice, sia stata impressa la usa immagine!

Leggenda o no, realtà o finzione, questo di Giove è uno dei tanti piccoli aneddoti che si possono udire in questo borgo, facente parte di questa chiusa vallata, dove il silenzio della quotidianità è interrotto soltanto dal lento via vai delle auto, dal fiume che lento scorre verso Torino e anziani, che fermi agli angoli delle vecchie case, non aspettano altro che raccontare ciò che il tempo ha raccontato a loro!




Luca B.

mercoledì 5 ottobre 2016

Piossasco



COMUNE DI PIOSSASCO


Leggenda vuole che sulle montagne nei pressi di Piossasco avesse la propria tana un drago. Il mostro durante la notte vagava fino a Torino portando dietro di sé una scia di cadaveri umani e animali. La gente era terrorizzata, finché un signore di nome Merlo, che faceva il mestiere del carbonaio, si prese la briga di uccidere il drago con l’aiuto dei suoi otto figli. Merlo, per l’impresa, si fece dare un toro tra i più feroci, nove sacchi di pane e nove botti di vino. Con i suoi figli mischiò il vino con il pane facendone un pastone da dare al toro che era stato fatto digiunare da diversi giorni. L’animale doveva servire come esca ed arma contro il drago, che infatti, incuriosito da quella strana presenza, uscì allo scoperto. Tra i due ci fu un scontro sanguinoso, con il toro che ebbe la meglio e ferì il drago che fuggì. Merlo e i suoi figli lo inseguirono, ma non riuscendolo a trovare diedero fuoco al bosco che stava là intorno. Da quel giorno del drago non si ebbero più notizie. Gli eroi furono ricompensati con un titolo nobiliare, inoltre la contea di Piossasco volle ricordare l’impresa inserendo nove merli nel proprio stemma. Tutt’oggi, come potete vedere dalla foto, nel gonfalone del comune di Piossasco, sono presenti dei merli.

giovedì 19 maggio 2016

A Gianmaria...



A Gianmaria…



 Saranno passati ormai più di dieci anni da quando, seduto all’esterno di un bar in un’assolata giornata di luglio del mio paese, un’autoguidata da una mia amicaparcheggia proprio a pochi passi dalle mie stanche gambe, reduci da oltre 100 chilometri di bicicletta. Aprendo la portiera ho potuto udire una musica lieve, leggera, ma allo stesso tempo ipnotica. Sorseggio la mia bibita e gli chiedo di non spegnere subito. ‘Testa, lo conosci?’ ‘Chi!’ ‘Gianmaria Testa, il capostazione’. Mai sentito, neppure nominare. A quel tempo ammetto di non poter usufruire come ora quasi on-line di Wikipedia, così rimango nella mia più totale ignoranza. Mi passa il cd che stiamo ascoltando ‘Il valzer di un giorno’. Mette proprio quella canzone

Tutto è già qui, l’adesso e l’indomani
tutto è già qui i torti, le ragioni le grandi verità e le speranze vuote
la voce che non sa per chi si spenderà
Ma oggi che era un giorno come tanti
hai preso le mie mani e poi le hai messe sui miei fianchi
e io che ballare non l’ho fatto proprio mai
mi sono perduto in un valzer che gira per noi

Chiudo gli occhi. Mi piace. Mi dona serenità, riposo, rilassatezza. La mia amica mi racconta brevemente la sua storia. E’ stato veramente un capostazione della stazione centrale di Cuneo, lui natio di Cavallermaggiore.
Da quel momento Gianmaria Testa, il cantautore degli ultimi, emarginati, emigranti, accompagna a fasi alterne la mia vita, lo perdo, ritorna, in alcuni periodi è fedele compagno della mia scrittura, in altri è un ricordo di un tempo che non c’è più e che mi riporta ai miei vent’anni. Ma lui c’è, sempre! ‘Altre latitudini’ è stata la colonna sonora di un intero periodo della mia esistenza, le canzoni contenute in quell’album aleggiavano, o forse meglio vivevano di vita propria nell’aria di quella casa che anni fa ho abbandonato.
Così quando quel 30 marzo all’esterno di un bar di un paesino in provincia di Vercelliad oltre 150 chilometri dal mio paesino natio, dalla mia vecchia amica e dalla mia vecchia casa ho appreso la notizia della morte di questo incredibile cantautore piemontese, troppo spesso sottovalutato (in Italia) in me sono riaffiorati ricordi, vecchi sogni, ma anche la voglia di riprendere quei CD e riascoltare quella voce e quella musica che mi ha donato e anche in questo momento che sto scrivendo, mi sta donando,grande armonia, semplicità e gioia.

Buon viaggio e Grazie di cuore Gianmaria!

Luca B.


giovedì 5 maggio 2016

Un viaggio in mezzo al lago



UN VIAGGIO IN MEZZO AL LAGO

Dolcissima quiete…
Bevo all’azzurro dei tuoi occhi,
respiro nel tuo Respiro,
o Vita di ogni vivente!



Dove
Richiudo dolcemente il libretto che ho da poco in tasca. Silente mi avvio verso l’uscita. Mentre spalanco il portone, respirando l’aria fresca che giunge dal lago, quasi mi scontro con un anziano signore venuto in quel luogo di preghiere per godere, come me d’altronde, di quell’atmosfera che solo il silenzio spirituale ti può donare. Ho attraversato questo piccolo tratto di lago d’Orta per percorrere quella via che migliaia prima di me hanno fatto. L’Isola di San Giulio è un cuore pulsante che intatto da secoli continua a pulsare al centro di questoenorme secchio d’acqua.

Descrizione e Storia
Si dice che questa abbazia posata sull’isola sia la centesima, nonché ultima fondata da San Giulio. La tradizione vuole che alla fine del IV secolo il Santo, in peregrinaggio nell’alto Piemonte, navigando il lago d’Orta sul proprio mantello riuscì a liberare quest’ultima dai draghi, costruendo una piccola chiesa, dedicata ai dodici apostoli.Trascorsero anni, decenni. Fu costruito anche un castello e il nucleo della prima chiesa, risalente addirittura al V secolo. Poi,successivamente, distrutta la primitiva cappella, ne venne costruita una nuova, più grande, ancora con un’unica abside. Una guerra, una dei tanti scontri bellici, purtroppo, portò alla distruzione anche di una parte di questa chiesa.
E oggi? Oggi la Basilica di San Giulio si erge in tutto il suo splendore con le sue tre navate. Di epoca romanica, anche se con il tempo molti sono stati i lavori di restauro a cui è stata sottoposta, è un luogo che oltre a diffondere saggezza e spiritualità porta con sé un millennio di storia sulle proprie spalle, da quando i primi frati benedettini misero piede su una quasi deserta isola, sino ai tempi nostri, in cui l’isola è meta di peregrini e turisti pronti ad ammirare questo angolo silenziosamente umano, circondato, nel vero senso della parola, dalla natura.

Perché andarci
Il luogo si fa amare da solo, senza tanti giri di parole. Non solo per la Basilica, ma anche per la passeggiata che qua ci porta. Passeggiata breve ma da cui è facile poter vedere un panorama a 360° del magnifico e forse mai troppo decantato Lago D’Orta, forse perché troppo vicino al più turistico e altisonante Lago Maggiore. Ma anche questo bacino d’acqua offre le sue splendide sponde, i paesini che vi si affacciano e la sua isola in mezzo all’acqua che sembra voler emergere con tutta la sua incantevole fierezza!

Curiosità
Sono fuori ma con la testa che si meraviglia ancora dell’interno appena visitato. Gli affreschi, i colori, il forte odore di incenso che si respira camminando tra le tre navate. E poi l’ambone romanico del XII secolo a pianta quadrata, un vero capolavoro del 1100!
Prendo la macchina fotografica e velocemente guardo ancora una volta le foto appena scattate dell’interno. E’ venuto il tempo di spostarmi e di fotografare questo spettacolo, compreso ciò che ci sta intorno, anche esteriormente!

Alla prossima
Luca B.


domenica 14 febbraio 2016

66° Festival di Sanremo: la quinta serata - La Finale


66° Festival di Sanremo: la quinta serata – La Finale


Sono gli Stadio i vincitori della 66° edizione di Sanremo. La band emiliana trionfa a sorpresa con “Un giorno mi dirai” davanti a Francesca Michielin ed al duo formato da Giovanni Caccamo e Deborah Iurato.

Ma facciamo un passo indietro. Irene Fornaciari con il brano “Blu” viene ripescata per la finale. Escono quindi definitivamente di scena Bluvertigo, Dear Jack, Neffa e Zeroassoluto.

La finale vera e propria del Festival comincia poco dopo le 21 e ad aprirla è il ballerino piemontese Roberto Bolle, che si esibisce sulle note di “We will rock you” per fondere due mondi musicali considerati lontani anni luce da loro, quello del balletto classico e quello del rock.

Poi uno dopo l’altro tutti e sedici i finalisti si esibiscono, anticipati da un incitamento video di un personaggio famoso. E così Francesca Michielin riceve il video-saluta da Fiorello, Alessio Bernabei da Miguel Bosè, Clementino da Salvatore Esposito, Patty Pravo da Loredana Bertè direttamente dalle cascate del Niagara, Lorenzo Fragola da Ficara e Picone, Noemi da J Ax, Elio e le storie tese da Mal, Arisa da Giusy Ferreri, gli Stadio da Carlo Verdone, Annalisa da Francesco Renga, Rocco Hunt da Vincenzo Salemme, Dolcenera dai suoi futuri colleghi a The Voice, Raffaella Carrà, Max Pezzali e Emis Killa, Enrico Ruggeri da Francesco Pannofino, Giovanni Caccamo e Deborah Iurato da Giuliano Sangiorgi,
Valerio Scanu da Fabrizio Moro e Irene Fornaciari da Serena Dandini.

Tanti gli ospiti, a partire ovviamente da Francesco Gabbani, vincitore tra le Nuove Proposte, che ripropone il suo singolo “Amen”. Presentazione in pompa magna per Cristina D’Avena, invitata a furor di popolo dal mondo del web che ha portato sul palco dell’Ariston “il valzer del moscerino”, per poi accontentare le varie richieste dei valletti. In una sorta di jukebox cartoons, Virginia Raffaele le ha chiesto “Kiss me licia”, Madalina Ghenea, che ha dichiarato di aver imparato l’italiano proprio grazie alle canzoni della D’Avena e le ha chiesto di interpretare “Occhi di gatto”, ed infine Gabriel Garko che ha voluto farsi cantare “La canzone dei puffi”.

Grande spazio anche a Renato Zero che, come consuetudine in questo festival, ha cantato un medley del meglio del suo repertorio, da “Amico” a “Il cielo”. Spazio anche al tormentone di Willy William, a cui è stato consegnato anche il disco d’oro.

Presenti anche Beppe Fiorello, che ha ricordato Domenico Modugno ed ha recitato un pezzo riguardante l’Ilva di Taranto, e Guglielmo Scilla, in arte
Willwosh, che ha presentato la nuova fiction di Rai Uno “Baciato dal sole”.

Sul palco dell’Ariston hanno poi fatto irruzione gli amici di sempre di Carlo Conti: Giorgio Panariello e Leonardo Pieraccioni. I tre hanno annunciato uno spettacolo insieme all’Arena di Verona il prossimo 5 settembre.

Poi è stata svelata la classifica finale dal 16° al 4° posto, così composta: 16° Irene Fornaciari; 15° Dolcenera; 14° Alessio Bernabei; 13° Valerio Scanu; 12° Elio e le storie tese; 11° Annalisa; 10° Arisa; 9° Rocco Hunt; 8° Noemi; 7° Clementino; 6° Patty Pravo; 5° Lorenzo Fragola; 4° Enrico Ruggeri.

E’ arrivato quindi il momento dei premi: per il miglior testo (premio Sergio Bardotti) è stato premiato Francesco Gabbani. Il premio per la miglior musica (premio Giancarlo Bigazzi) è andato agli Stadio, così come il premio della sala stampa (premio Lucio Dalla. Il premio della critica (Mia Martini) se lo è aggiudicato Patty Pravo.

Infine la proclamazione degli Stadio che si sono esibiti per un’ultima volta con la loro “Un giorno mi dirai”. E sipario sulla 66° edizione del Festival di Sanremo.


sabato 13 febbraio 2016

66° Festival di Sanremo: la quarta puntata


66° Festival di Sanremo: la quarta serata


Quarta serata e primi verdetti al Festival di Sanremo. Il vincitore della sezione Nuove proposte è Francesco Gabbani con “Amen”, brano che la sera prima era stato eliminato per un errore di voto della sala stampa. A Gabbani è andato anche il premio della critica. Al secondo posto si piazza Chiara Dello Iacovo con “Introverso” che si aggiudica il premio della sala stampa “Lucio Dalla”. Terzo e quarto posto rispettivamente per Ermal Meta e Mahmood. E’ stata fatta riesibire Miele dopo il ‘disguido’ della sera precedente.

Entrano quindi in scena i big. La serata prevede l’eliminazione provvisoria di 5 cantanti ed il ripescaggio di uno solo di questi all’inizio della finale. Una cosa estremamente inutile se non dal punto di vista economico, dato che il televoto rimarrà aperto tutto il giorno. Le votazioni sono state effettuate considerando per il 40% il televoto, per il 30% gli esperti e per il restante 30% la giuria demoscopica. La giuria degli esperti è composta da: Franz Di Cioccio, Valentina Correani, Fausto Brizzi, Paola Maugeri, Federico l’olandese volante, Laura Valente, Nicoletta Mantovani.

I 5 cantanti a rischio sono: gli Zeroassoluto codice 01 per farli rientrare, Dear Jack codice 02, Neffa codice 03, Irene Fornaciari 04, Bluvertigo codice 05.

Di conseguenza gli altri 15 artisti che approdano direttamente in finale sono, in ordine di apparizione: Annalisa, Rocco Hunt, Giovanni Caccamo e Deborah Iurato, Enrico Ruggeri, Francesca Michielin, Elio e le storie tese, Patty Pravo,
Alessio Bernabei, Valerio Scanu, Noemi, Stadio, Arisa, Lorenzo Fragola, Dolcenera e Clementino.

Ospite principale della serata è stata Elisa, vincitrice del Festival nel 2001, che ripropone proprio il brano Luce, in un medley comprendente L’anima vola e Gli ostacoli del cuore. La cantante triestina si è infine esibita con il nuovo singolo “No Hero”, un ritorno all’inglese dopo 5 anni.

Il comico romano Enrico Brignano ha catturato quindi l’attenzione del pubblico con un monologo dedicato ad un figlio ipotetico. Sul palco anche due star internazionali emergenti come J Balvin e la sua “Ginze” e Lost Frequencies con “Reality”.

In attesa dei verdetti è apparso quindi l’attore Alessandro Gassman, che ha chiesto di cantare in playback un pezzo, ma appena partita la base la voce non era la sua. Dalla punta delle scale è infatti spuntata la testa di Rocco Papaleo. I due, lì per presentare il loro film “Onda su Onda” di cui Papaleo è il regista, si sono resi protagonisti di un divertente siparietto comprendente Madalina Ghenea. Per il lucano si tratta di un ritorno dopo ave co-condotto la kermesse nel 2012 con Gianni Morandi.

Intanto Virginia Raffaele continua la sua cavalcata da protagonista mettendosi nei panni di Belen Rodriguez, suo cavallo di battaglia, e il risultato è assicurato. Carlo Conti sarà utilizzato nel dizionario dei sinonimi alla voce professionalità. Stasera ripescaggio di uno degli eliminati e proclamazione del vincitore della 66° edizione del Festival di Sanremo.

venerdì 12 febbraio 2016

66° Festival di Sanremo: la terza serata - Il Pagellone


66° Festival di Sanremo: la terza puntata – Il Pagellone


NOEMI 8: Sceglie un brano nel suo stile ed il risultato le da ragione visto che finisce tra le prime cinque cover. Ed intanto “La borsa di una donna”, finita nella
zona a rischio nella prima serata, è la canzone sanremese più trasmessa dalle radio. Già una bella rivincita.

DEAR JACK 5.5: Provano in tutti i modi a rendersi simpatici e a scrollarsi di dosso la nomea di boy band interpretando una canzone del Quartetto Cetra. Ma la simpatia non basta per comprare un loro disco.

ZEROASSOLUTO 6: Scelta divertente quella di cantare una canzone di un cartone animato, Goldrake, anche in considerazione del fatto che nell’ultima serata sarà ospite Cristina D’Avena. Avvallano però l’idea diffusa che siano rappresentanti di una giovinezza che non c’è più. Nostalgici.

GIOVANNI CACCAMO E DEBORAH IURATO 5: La loro interpretazione del pezzo di Pino Daniele avrebbe potuto consacrarli a favoriti, ma sprecano una buona occasione. Tuttavia sono molto votati dal pubblico, ma attenzione, le coppie funzionano quasi sempre solo nella settimana sanremese.

PATTY PRAVO 7: Lei può fare tutto, pure fare una cover di sé stessa. Coraggiosa e riuscita la scelta di duettare con Fred De Palma, due mondi lontanissimi. Un voto in meno per come è stata conciata, la sua capigliatura era davvero imbarazzante.

ALESSIO BERNABEI 6: La versione di “A mano a mano” di Cocciante con Benji & Fede è pressoché disastrosa se si ha in testa l’originale o quella di Rino Gaetano. Ma si meritano una sufficienza per aver fatto conoscere ai loro giovani fan una canzone così.

DOLCENERA 5.5: Cantare “Amore disperato” di Nada era una scelta non difficilissima, fa una buona prova, ma il vero problema è che nessuno la vota mai, prende l’1% da casa in una sfida a quattro!

CLEMENTINO 8: Cantare Fabrizio De Andrè è quasi sempre come bestemmiare in diretta, ma ‘la iena’ non prova a fare il verso al Cantautore genovese ed il risultato è piacevole, pubblico e critica sono concordi, anche la platea gli ha tributato un lungo applauso.

ELIO E LE STORIE TESE 8: Se ne inventano un’altra delle loro. Propongono una versione della quinta di Beethoven anni ’70, di due secoli dopo. Dichiarando di voler esaudire un desiderio del compositore tedesco di partecipare una volta nella vita al Festival.

ARISA 7: Riesce a rendere omaggio a “Cuore” di Rita Pavone in maniera impeccabile. La sua canzone inedita invece dopo un primo ascolto che non aveva convinto si sta riscattando nelle radio.

ROCCO HUNT 6: Tu vuò fa l’americano è perfetta per lui, così può saltellare da una parte all’altra del palco come piace a lui. Piace, non si sa bene perché, forse perché mette allegria, ma piace.

FRANCESCA MICHIELIN 7: Canta benissimo “Il mio canto libero” per una scelta che la sua mentore Simona Ventura definirebbe “gigiona”. Come recita una pubblicità, non è più una sorpresa, ma una solida realtà.

NEFFA 6.5: O’ Sarracino è una scelta che nessuno si poteva aspettare ed in effetti l’esibizione non è stata straordinaria. Merito però alla musica dei Bluebeaters che hanno reso un momento mediocre in qualcosa in più.

VALERIO SCANU 4.5: Io vivrò (senza te) viene eseguita senza sbavature come al solito per Scanu, nonostante qualche problema al microfono. Ma Battisti dava alle sue canzoni connotazioni emozionanti che a Scanu non appaiono nemmeno in sogno. Lui però, come nel 2010, ha tanti “Amici” al televoto.

IRENE FORNACIARI 7: Il fatto di essere la cantante in gara con meno fan al seguito la sprona ad essere sempre sul pezzo. Molto rock ed interessante la sua versione di “Se Perdo anche te”, brano stracoverizzato negli ultimi anni.

BLUVERTIGO 8: Sicuramente la cover più sofisticata della serata. “La lontananza” di Modugno rispecchia la voglia di sperimentazione del gruppo. Ancora una volta, sfida vinta.

LORENZO FRAGOLA 6.5: “La donna cannone” è la cover più famosa cantata in serata. Alcuni si sono indignati che un ventenne interpretasse De Gregori, ma il cantautore romano non ne aveva molti di più quando la incise. Il televoto è sempre dalla sua parte.

ENRICO RUGGERI 6: Difficilissima scelta quella degli Alunni del Sole, ed il napoletano del Rouge è quantomeno scarso. Un’occasione persa visto le tante emozioni che poteva dare con un’altra cover.

ANNALISA 8: Gianna Nannini è la cantante italiana più imitata. Ma Annalisa fa una versione sua di “America”, elegante e graffiante. Una delle migliori interpretazioni di ieri sul palco dell’Ariston.

STADIO 8.5: Vincono meritatamente. Con “La sera dei miracoli” omaggiano al meglio Lucio Dalla, che li ha praticamente fondati. Si presentano al completo,
dei grandi artisti di un’estrema semplicità. Capolavoro.

CARLO CONTI 8: Gli ascolti continuano ad essere straordinari, ma la terza serata è stata molto meno intensa della seconda. Penalizzato dalle scelte dei cantanti forse: lo scorso anno le cover erano state di più peso. Questa era la serata dove invitare gli ospiti migliori, per cui qualcosa meno delle scorse puntate.

VIRGINIA RAFFAELE 10: Poco da aggiungere rispetto alle altre serate. La sua Donatella Versace è travolgente, soprattutto quando perde pezzi di corpo per tutto l’Ariston. Anche la Versace ha apprezzato con ironia.

GABRIEL GARKO 5: Le prime due serate potevano servirgli per rompere il ghiaccio, ma anche nella terza fa incetta di brutte figure, e non è facile in un ambiente in cui tutto lo prendono per i fondelli. Prova con l’arma dell’autoironia, ma anche quella non gli riesce benissimo. Peccato, perché ad esempio nel Dopofestival è stato più disinvolto.

MADALINA GHENEA 6: Sempre lo stesso voto per la valletta, ed una considerazione che andrebbe bene per un calciatore: fa il suo.