mercoledì 17 dicembre 2014

La magia del presepe



LA MAGIA DEL PRESEPE


Danzano le luci in cielo. Una musica si fa più viva. Aumenta di volume. Ti avvolge. T’insegue. E’ meraviglia, la fine di un’attesa, un sogno aspettato un anno. Ogni anno, eccolo, questo periodo che emoziona, diverte. Quell’atmosfera che ti prende per mano e che ti fa attraversare nuove vie, rende palazzi fino ad allora mai considerati lucenti armonie di vita. Anche tu sei migliore, o almeno credi di esserlo, perché il Natale riesce finalmente a strapparti quel sorriso privo di ansie, patemi quotidiani. Sei tu, solo con quella spensieratezza che ti riporta ad un’età fanciullesca, di quando eri bambino e attendevi il giorno del 25 dicembre per spacchettare i tuoi regali, mostrarli ai parenti che quel giorno sarebbero venuti a trovarti. Che magica magia… il Natale!

Poi cresci, la sostanza non cambia, anche se cerchi di essere più pacato in quei modi che vorresti far esplodere. Ma ci sono anche altre cose ora che ti attraggono, come ad esempio a me, a cui piace soffermarmi nel periodo dell’Avvento davanti ad un presepe ed ammirare ogni statuina, movimento, capanna, sfondo. Mi danno allegria. E passeggiando per le strade del capoluogo difficile è non imbattersi negli ultimi anni nel presepe meccanico della Santissima Trinità o nel meraviglioso presepe di Luzzati di Piazza Castello. E poi come sempre c’è la curiosità e anche talvolta la fortuna che ti portano ad imbatterti in presepi nascosti in qualche abitazione privata, presepi che voglio essere scoperti, anche se da una parte chi li ha allestiti è un po’ geloso della sua opera. E poi come dimenticare i presepi creati per l’occasione nelle Chiese di paesini lontani, penso a quello da me visitato in anni recenti nel Santuario di Graglia, in provincia di Biella, dove usciti da quel luogo di culto, le bianche montagne intorno creavano un’atmosfera unica!


Rappresentazioni, mondi vicini di storie lontane nel tempo. Come quella del presepio. Furono già gli evangelisti Luca e Matteo a descrivere la natività, avvenuta al tempo di Erode.Quella rappresentazione in cui nella terra del re Davide nacque il Salvatore. Quella rappresentazione che solo in epoca medievale prenderà il nome di presepio, ovvero ‘recinto’ chiuso, dove venivano custoditi gli animali, ma anche ‘mangiatoia’, dal latino praesaepe, ovvero greppia.
Oggi tantissime sono le ricostruzioni della natività di Gesù Cristo, ogni Paese, Regione d’Italia ha il suo particolare presepe. Perché proprio nel nostro paese San Francesco d’Assisi, nel 1223 realizzò a Greggio (non il paese in provincia di Vercelli, bensì nel Lazio) la prima rappresentazione vivente della Natività.

E ancora oggi non mancano sotto il periodo natalizio, talvolta la sera stessa del 24 dicembre, presepi viventi che ci deliziano e ci conducono con uno spirito ancora diverso verso quella festa che deve essere di pace e di speranza.
Pace e speranza,vado cercando in questo momento dell’anno e ammirando personaggi a grandezza naturale o piccole statuine lavorate, mi tuffo in un universo fatto di piccole magie, proprio come quella che il presepe, ancora oggi, a distanza di secoli, rappresenta. Magia che rende questo periodo come sempre così speciale e unico. Quindi, anche questa volta godetevi l’attimo e ammirate più presepi possibili. In fondosono piccoli, ma salutari e incredibili meraviglie!



mercoledì 10 dicembre 2014

Ingria: una gemma in Val Soana


INGRIA: UNA GEMMA IN VAL SOANA


Salendo per la Val Soana piove a dirotto. L’acqua non cessa di venire giù nemmeno quando arriviamo al primo comune conosciuto: Ingria. Le precipitazioni sono fitte e costanti, ma il paesaggio ci affascina e quindi decidiamo di scendere dalla macchina per dare un’ occhiata. Mai scelta fu più azzeccata.

Ingria è uno dei comuni meno popolosi d’Italia con i suoi 46 abitanti. La popolazione ha abbandonato questo piccolo paesino durante il ventesimo secolo. All’inizio del novecento infatti Ingria poteva contare su quasi 2000 abitanti. Un dato che non trova paragoni negli oltre ottomila centri del nostro paese. Come in tutti i paesini di montagna, la gente ha deciso, ma forse più che deciso sarebbe meglio dire dovuto, emigrare verso Torino o comunque verso i comuni più a valle.

Ma Ingria non può e non deve essere messa a confronto con gli altri paesini montanari. No, perché Ingria è ancora vitale, molto lontana dal voler arrendersi ad una realtà ordinata dall’urbanizzazione. Le 46 anime che popolano questo posto sono ancora attive, e paiono essersi strette una a fianco dell’altra vicino alla piazza principale dove c’è la sede del municipio e la Chiesa di San Giacomo, costruita nel seicento e diventata parrocchia nel 1708.


Attorno a questo piazzale tutto è fiorito. Alcuni fiori sono protetti anche ironicamente da ombrelli con la scritta “Ingria c’è”, giusto a voler riassumere perfettamente lo spirito di questa comunità. Nonostante le nemmeno 50 unità è presente una Pro Loco, ma anche i bambini non sono abbandonati a loro stessi grazie alla presenza di un piccolo parco giochi. Il monumento ai caduti funge da ponte tra il passato e uno sguardo che volge al futuro. Si vedono molti monumenti di questo tipo in giro per il nostro paese, ma in pochi come questo riescono a rendere giustizia alla memoria dei martiri della libertà.
Ingria fu feudo dei conti di Valperga, come riportato dai primi documenti storici risalenti al XI secolo, prendendo parte alla rivolta dei turchini. Gli ingriesi, così vengono chiamati i nativi del luogo, resistettero eroicamente agli assalti dei soldati del duca di Savoia per quattro anni prima di venire sconfitti nel 1435.

Tra le altre cose la municipalità è stata premiata dall’ASPROFLOR come “Comune Fiorito” aggiudicandosi tre fiori su un totale di quattro. Anche se ammirando il paesaggio di Ingria c’è da chiedersi cosa si aspetti a proporre la massima votazione arrivando così al pari di altri comuni quali Avigliana, Claviere, Usseux e Villar Pellice.
Le escursioni sono un punto di attrattiva molto valido, dal centro e dalle frazioni del comune si possono raggiungere vette come il Monte Loit o il Mombianco, ma molte altre sono citate nel sito del municipio. Senza dimenticare eventi consolidati negli anni come l’Ingria Woodstock Festival, per festeggiare in giugno gli anni del rock psichedelico o la Sagra della polenta in settembre.


Ingria ha mille risorse ed è un luogo consigliabile per chiunque, senza distinzione di età. Quindi: escursionisti desiderosi di esplorare cime nuove, famiglie che volete portare i vostri figli a respirare l’aria di montagna, appassionati di rock’n’roll e di sane abbuffate, ma anche scrittori in cerca della giusta ispirazione ascoltate le nostre parole, recatevi in questo piccolo scorcio della Val Soana e non ne rimarrete delusi perché Ingria c’è.

mercoledì 3 dicembre 2014

La Real Chiesa di San Lorenzo



LA REAL CHIESA DI SAN LORENZO



Dove
La più bella. La più affascinante. Quasi nascosta in quell’immensità di monumenti che dire meravigliosi, è dir poco. Eppure, qualsiasi sia la direzione da cui si arriva, San Lorenzo rimane timidamente assorta, chiusa in quel suo capolavoro barocco che solo entrando si può ammirare.  La Chiesa si trova in una delle più belle piazze piemontesi, quella piazza Castello di Torino, da cui un tempo dipartiva la via maestra romana (l’attuale Via Garibaldi). San Lorenzo si può scorgere solo per quella immensa e suggestiva cupola che indica a suo modo la Cattedrale di San Giovanni Battista e quindi la Sindone, simbolo della cristianità. Si trova su quella Piazza in cui si affaccianoPalazzo Madama, Armeria Reale, Palazzo Reale!

Descrizione e Storia
E se la Consolata è considerata la Chiesa più amata dai torinesi, il Duomo la più importante, per via della custodia della Sindone, San Lorenzo forse la più bella. Voluta da Emanuele Filiberto a seguito della vittoria nella battaglia di Saint-Quentin del 1557, nella Fiandre a seguito di un voto da lui stesso formulato, la costruzione fu affidata a Guarino Guarini, architetto e sacerdote modenese. Un primo nucleo in realtà esisteva di già, la Chiesa di S. Maria del Presepe, ma Emanuele Filiberto aveva voluto fare le cose in grande  e dedicare un edificio di culto a San Lorenzo, proprio perché la sua battaglia era stata vinta il 10 agosto, giorno in cui si festeggia il santo in questione.
Sarà lo stesso Guarino Guarini a celebrare la prima messa a San Lorenzo, l’11 maggio 1680, dopo oltre 10 anni di lavori.

Perché andarci
La bellezza all’interno è qualcosa di sbalorditivo. La cupola considerata il capolavoro per eccellenza del barocco del Guarini. L’interno è a pianta centrale, con otto lati convessi che si aprono sulle cappelle concave degli altari laterali. Al disopra di quattro pennacchi corre una galleria su cui si affacciano otto finestre ovali intercalate da otto pilastri dai quali dipartono i costoloni della volta. Questi incrociandosi formano una stella a 8 punte e sull’ottagono regolare che si forma si erge la lanterna. 8, numero simbolico, che indica l’ottavo giorno, ovvero quello dell’infinito. Decine sono i simboli che si trovano all’interno della Chiesa, alcuni addirittura si dice siano legati alla massoneria torinese, di cui lo stesso Guarini faceva parte.

Curiosità
Ma come è possibile che una Chiesa con un interno così incredibile, che contiene gioielli, tesori, una cupola unica al mondo, all’esterno si presenti sobria, senza particolari apparenze che farebbero San Lorenzo, nel suo complesso, una delle meraviglie del mondo? Beh, la risposta parrebbe molto semplice. La costruzione di una vera e propria facciata avrebbe rovinato le simmetrie di Piazza Castello. Un peccato, forse, o una scelta azzeccata. Sta di fatto che in quella sua quasi incompiutezza, San Lorenzo va scoperta e amata e perché no, una volta entrati, contemplata e osservata in tutti i suoi angoli con le sue mille sfumature e soprattutto le sue luci e i suoi colori.


mercoledì 26 novembre 2014

La Sacra spina di Cortemilia



LA SACRA SPINA DI CORTEMILIA


Questa che vado a raccontare è una di quelle storie che ci riportano indietro di tanti anni, secoli. Una di quelle storie scoperte per caso passeggiando sotto i portici di uno dei tanti paesini del basso Piemonte, di quei paesini ricchi di storie, di miti, di leggende, di credenze e di speranze.
Casualità, curiosità, caparbietà. Come sempre solo viaggiando, esplorando oltre i confini del proprio mondo si possono aprire altri mondi e in altri mondi sentirsi protagonisti. Sono bastati una serie di pannelli illustrativi per portarmi a conoscenza di questa realtà che ha dell’incredibile e che ancora una volta mi porta ad immaginare la vita in tempi andati.

Una tradizione vuole che quasi 1000 anni fa, nel 1095 per la precisione, un giovane cavaliere di Cortemilia, cittadina oggi di 2.500 anime in provincia di Cuneo, feudatario di un territorio compreso tra le Valli Bormida e Belbo, udendo le parole di un predicatore, in nome dell’allora papa Urbano II, si unì alla prima Crociata. Quattro anni dopo, divenuto membro dell’esercito di Goffredo di Buglione, questo cavaliere combatté per la conquista di Gerusalemme e l’anno successivo si rimise sulla via del ritorno. Giunto a Costantinopoli, l’attuale città di Istanbul, in Turchia, volle rendere omaggio alle reliquie del Cristo, riuscendo in qualche modo ad impossessarsi di tre spine della corona con cui Gesù era stato torturato ed in seguito crocefisso. Non vedeva l’ora di rientrare nelle sue terre, ma sulla via per Genova la nave sulla quale viaggiava venne attaccata e lui cadde prigioniero!
Fece allora un voto. Se fosse stato liberato avrebbe eretto una Cappella che custodisse le tre spine nel primo villaggio del suo feudo nel quale avesse messo piede! La provvidenza fece sì che la nave su cui viaggiava venne a sua volta attaccata da una nave genovese e l’audace cavaliere di Cortemilia riuscì finalmente a raggiungere prima il capoluogo ligure e successivamente Savona. Da qui varcò i confini del suo feudo arrivando a Montechiaro d’Acqui, il primo villaggio dei suoi feudi,dando ordine di costruire una cappella votiva, che avrebbe custodito le tre preziose spine giunte integre dall’impero Bizantino. La cappella divenne ben presto un’importante Chiesa meta di centinaia di pellegrini!

Ma il disappunto di Cortemilia, paese nel quale il cavaliere era nato e cresciuto, si fece nel corso dei secoli sentire. Anche i cittadini del piccolo borgo cuneese avevano diritto alle spine ‘conquistate’ dal loro concittadino. A porre fine a secoli di discordie ci pensò nel 1542 il vescovo di Acqui che donò a Cortemilia una delle tre spine. Qua fu portata con solenne processione.
Oggi la spina di Cortemilia è custodita presso il museo Diocesano di Alba, ma passeggiando per il paese nell’aria aleggia ancora quello spirito di orgoglio per questo lontano antenato che quando è stato in vita è riuscito a portare una sacra reliquia in territorio piemontese!
E se vi capita di andare a Cortemilia lasciatevi trasportare dai pannelli illustrativi che sono stati installati nel 2012 e che ripercorrono le valorose gesta del cavaliere di Cortemilia e delle tre spine del Cristo!


mercoledì 19 novembre 2014

Prali: un piccolo paradiso nascosto



UN PICCOLO PARADISO NASCOSTO.
 PER ESCURSIONISTI E SCIATORI!


Dove
Non tutto è a portata di mano. Ma ciò che non lo è, e quindi più difficile da conquistare, talvolta è più bello e interessante. Oltre settanta sono i chilometri che separano il capoluogo piemontese, Torino, da questa piccola località della Val Germanasca, Prali. Qualche curva, qualche strada sbagliata, prima di arrivare in questo comune piemontese di poco più di 200 abitanti. Ma l’attesa come sempre non è stata vana. L’atmosfera che si respira all’arrivo in queste zone è quella tipicamente montana a poco più di 1400 metri d’altezza. Poche persone in giro per il paese in un qualunque sabato dell’anno, eppure, quelle che ci accolgono ci donano un sorriso, rendendo questo nostro soggiorno ancora più rilassante ed accogliente! Quanti luoghi, quante strade, monumenti, piazze, persone, sorrisi abbiamo ancora da vedere e da quanti dobbiamo imparare tanto. 

Descrizione e Storia
Nemmeno il tempo di scendere dall’auto che la voglia di camminare è tanta.Passeggiare per le vie, conoscere le borgate principali, scattare qualche foto alle bianche montagne che contornano questa realtà, aldilà delle quali si estende un altro fantastico luogo che prima o poi conquisteremo, il Queyras!Ma oggi siamo venuti qua a Prali per immortalare un nuovo paesaggio, scambiare qualche parola, catturare un sorriso di qualche anziano signore che dietro le finestre di casa sua ci scruta incuriosito.
Oltre a camminare, fotografare, catturare, non possiamo non visitare il Tempio Valdese a cui è annesso un museo storico che ripercorre i secoli della Valle Germanasca dalla preistoria fino ai giorni nostri, con un occhio di riguardo ovviamente per gli aspetti religiosi… interessantissimo!



Perché andarci
Dopo un ottimo pranzo a base di polenta, nel pomeriggio non possiamo sottrarci in alcun modo alla visita guidata in uno dei musei forse più famosi della regione Piemonte e unici in Italia: Scopriminiera, l’ecomuseo regionale delle miniere e della Val Germanasca. Un percorso incredibile in cui si ‘viaggia sottoterra’ alla scoperta delle famose miniere di talco della zona, che hanno rappresentato per gli abitanti una fonte sicura di lavoro per oltre un secolo.
Addirittura si contano dal 1998, anno di apertura, oltre 200.000 visitatori che hanno attraversato i due chilometri di percorso di cui la miniera dispone!

Curiosità
Ed oltre alla cultura valdese, tutta da riscoprire e ricercare e alla miniera di talco, Prali è nota a livello turistico da una parte per il suo comprensorio sciistico di oltre 1000 metri e dall’altra per le centinaia di escursioni che da qui dipartono, tra cui l’Altopiano dei 13 laghi (2600 metri), Punta Cialancia (2855 metri) e Rocca Bianca (2385).
Insomma Prali fa al caso di grandi e piccini, amanti dello sport e del relax, dei musei e della religione, del buon mangiare e del passeggiare in tranquillità in questo piccolo, ma confortevole paradiso nascosto nella Val Germanasca!


mercoledì 12 novembre 2014

La discarica divenuta gioiello



LA DISCARICA DIVENUTA GIOIELLO!


Dove
Passare. Osservare. Ritornare. Quando ti è rimasto nel cuore un monumento, un paese, una vallata non vedi l’ora di tornare. Ma il ritorno non è mai uguale. Nonostante il tempo in alcuni luoghi scorra più lento che in altri, la voglia di vedere se qualcosa è cambiato è tanta, accorgersi che la volta precedente avevi tralasciato un particolare, non avevi notato un disegno, un albero strano o semplicemente nella ricerca di un posto dove mangiare non avevi veduto una trattoria a cui ora non puoi più fare a meno. Passare. Osservare. Ritornare. Proprio come in questa occasione, dove dopo tanti anni sono tornato in una delle valli più suggestive del Cuneese, la Valle Varaita. L’ultima volta in cui ci ero stato, l’avevo visitata tutta, da cima in fondo, attraversato tutti i suoi stupendi paesini e godutodi lunghe passeggiate partendo da Bellino, Casteldelfino e Chianale.

Descrizione e Storia
E proprio a Casteldelfino questa volta ho sostato per più tempo, anche perché in quell’ultima volta che vi ero stato non esisteva ancora il Museo en plein air di arte sacra ‘Santi del Popolo’. Unico nel suo genere a livello nazionale, il museo all’aria aperta è dislocato subito dopo l’abitato. Ha dell’incredibile questa semplice piazza in cui sono state sistemate statue in bronzo, tutte riparate dalla pioggia, raffiguranti diversi personaggi dell’arte sacra appunto, quali Padre Pio, Sant’Antonio Abate, San Giuseppe, Giovanni Paolo II, San Chiaffredo, San Francesco, San Michele Arcangelo, San Sebastiano, Maria Vergine Immacolata, Santa Chiara, Giovanni Bosco con Domenico Savio.
Una bella idea, suggestiva, nuova, unica appunto, che attirerà turisti nel piccolo paesino della valle, ma sicuramente anche pellegrini che vorranno ammirare queste bellissime sculture in uno scenario montano incredibilmente spettacolare.

Perché andarci
Migliaia sono i visitatori che in questi pochi anni hanno visitatoil particolare museo, che negli anni è stato costantemente ampliato con nuove figure. Oggi chi visita il museo verrà condotto nel percorso di visita attraverso la musicalità dell’arte sacra. Esiste infatti un sistema di filodiffusione che permette appena entrati nella piazza di poter ascoltare l’incantevole musica di sottofondo. Inoltre ogni statua ha la possibilità di raccontare la storia del santo, ovvero PARLA! Non dobbiamo dunque far altro che raggiungere Casteldelfino, salire qualche gradino e godere, alla modica cifra di 0 euro, di uno splendido panorama, un museo unico al mondo e tante storie da imparare…

Curiosità
Un bel modo insomma per conoscere la vita dei santi e passeggiare in un luogo divenuto ormai sacro! E se si pensa che fino a qualche anno fa nello stesso luogo sorgeva una discarica, allora ci si rendo conto che ciò non può che essere preso d’esempio da tante altre realtà che con un po’ di sacrifici e una bella idea, possono creare nuovi poli culturali, smuovere viaggiatori, sognatori e anche i più pigri per scoprire qualcosa di unico, semplice e interessante!


mercoledì 5 novembre 2014

I luoghi della curiosità: Madonna della Neve!



I LUOGHI DELLA CURIOSITA’: MADONNA DELLA NEVE!


Dove
La macchina è ben visibile. L’ho parcheggiata all’inizio di questa breve salita sterrata che conduce a ciò che rimane dell’antico castello di Rocca Canavese. Sono già passato più di una volta per questo paesino, che mi ha sempre affascinato, proprio per quei ruderi che riportano ad antichi miti passati. Eppure la voglia di scattare qualche foto, nonostante la giornata non sia delle migliori, è più forte di me e ancora una volta mi ritrovo a contemplare il paesino ai miei piedi. Purtroppo oggi la vista non è delle migliori. E’ però bello a volte vagare cercando di non avere obiettivi fissi e tabelle di orari da rispettare… Oggi è uno di quei giorni. Così dopo aver scattato le mie trenta, quaranta foto al vecchio Castello, torno verso la mia auto. Ma a prendere il sopravvento è come sempre la mia curiosità nel leggere un’indicazione stradale che riporta la scritta ‘Cappella Madonna della Neve’.

Descrizione e Storia
Non sono riportati i chilometri che mi separano, ma penso che anche in questo caso poco importi.E poi non può essere questa piccola chiesetta così distante, penso tra me e me. Ma mi sbaglio. Iniziano i primi tornanti, la strada si fa stretta, oltrepasso alcune piccole borgate, fino a quando in prossimità della borgata ‘Case Frent’ sono costretto ad abbandonare l’auto e proseguire a piedi. Non fosse per quelle nuvole cariche di pioggia che minacciano la mia rilassante camminata di circa trenta minuti, tutto sarebbe perfetto! Il silenzio, la natura, il bosco, il sentiero, la voglia di arrivare, di vedere e fotografare un altro sperduto angolo del mio mondo che lentamente sto cercando di scoprire. Trenta minuti, forse qualcosina in più, ma eccomi che finalmente in lontananza posso vedere la ‘mia’ tanto sospirata chiesetta.
Mi trovo in cima al monte Sapegna, tra i boschi che dividono il comune di Rocca, da quello di Levone e di Forno Canavese a poco più di 900 metri d’altezza. Un pannello informativo indica la mia posizione, la mia distanza da Rocca e ciò che da qual punto posso scorgere voltando lo sguardo sul versante opposto della cima. L’aria è fredda. Ma sono contento. Sono arrivato fin quassù. La cappella domina il monte con il suo acceso color giallo e tre dipinti che rendono viva la facciata, uno raffigurante l’Arcangelo Gabriele e gli altri due la Madonna con il Bambino.

Perché andarci
Purtroppo è chiusa, ma nulla passa invano. E anche questa bella passeggiata mi ha permesso di abbracciare una nuova realtà, fuori da ogni rotta turistica, anche solo piemontese.Comunque un bel luogo di silenzio e preghiera. Da quasi 400 anni. Fu costruita infatti nel 1673 questa Cappella chedomina, osserva la pianura sottostante e attende di essere contemplata non solo da un curioso e amante del girovagare come me, ma da molte altre persone che magari in una calda giornata possono trascorrere qualche ora quassù tra castagni, sentieri di montagna e storia locale.

Curiosità
Anche perché questa chiesetta, eretta alla fine del XVII secolo è dedicata, secondo la leggenda del luogo, all’incredibile nevicata che c’è stata nel 365 e fu costruita a seguito della terribile peste che colpì il luogo. E ancora oggi, il primo martedì di agosto le persone dei paesi limitrofi si riuniscono quassù per celebrare la Madonna della Neve!


mercoledì 29 ottobre 2014

Santuario del Todocco: quel luogo di pace e serenità



QUEL LUOGO DI PACE E SERENITA’!


Dove
Poche volte mi sento sereno. Sempre di meno. Quella sensazione di pace che dentro le quattro mura di casa o tra il traffico intenso della città non mi fa respirare. Eppure nel mio lento girovagare sono riuscito a scovare decine di luoghi che mi sono rimasti nel cuore, alcuni per la loro straordinaria bellezza, alcuni per la loro semplicità, altri per le persone che lungo le vie ho incontrato ed altri ancora per quel senso di pace e serenità che sono riusciti ad infondermi. Oggi vi racconterò proprio di uno di questi, nella speranza che molti di voi possano lasciare a casa nervi tesi e tuffarsi in una realtà ricca di serenità! Ciò che al giorno d’oggi più ci manca. Eccoci quindi a Pezzolo Valle Uzzone, un piccolo comune facente parte dell’Alta Langa e della Langa della Valle Bormida e Uzzone. Qua sorge a pochi chilometri a monte del comune il Santuario di Todocco.

Descrizione e Storia
Siamo a 700 metri sul livello del mare e la vista che si gode è qualcosa di piacevolmente sensazionale. La Langa è ai nostri piedi, la dominiamo, la ammiriamo, impariamo ad amarla. Ci troviamo in una zona di notevole importanza anche dal punto di vista storico, soprattutto una zona di passaggio sulla strada del sale dalla riviera ligure alla nostra regione. Per questo valico un tempo, dove ora sorge il Santuario,passavano i pellegrini che andavano verso Campostela.
Ma perché la costruzione di questo complesso? Tutto può essere riconducibile ad una leggenda che i contadini del luogo si sono tramandati nei secoli. La leggenda narra che una ragazza sordomuta stava pascolando il gregge proprio dove ora sorge il santuario, quando le apparve la Madonna che le disse di andare da suo papà e di pregarlo di costruire in quel luogo un pilone. A quelle parole la fanciulla guarì ed il padre costruì un pilone proprio dove la Madonna aveva poggiato i piedi!
La prima chiesetta fu poi edificata nella seconda metà del ‘700, ma la costruzione attuale risale agli anni ’30.

Perché andarci
Ciò che colpisce, oltre al panorama decantato più volte e quel senso di pace che si trova venendo quassù, è il bel portale del santuario, inaugurato solo nel 2007 e lavorato dall’artista Nani di Bergamo, classe 1928. Il portale è un insieme di bassorilieviin bronzo che raccontano la vita della Madonna. Inoltre sul colle adiacente, per chi vuole liberarsi completamente e fare una bella passeggiata, l’artistica via Crucis vi porta in cima al monte e aiuta i pellegrini a contemplare il Mistero della Redenzione operata da Gesù.

Curiosità
A breve distanza dal Santuario, già nel comune di Piana Crixia (Savona), in località Schenardo, è nata il 27 febbraio 1884 Margherita Rosa Vassallo. Il nome sicuramente vi dirà poco, ma la sua storia è legata al cognome del marito. Infatti nel 1907 trasferitasi a Torino, Margherita sposa Giovanni Bergoglio, dando alla luce il 2 aprile del 1908 Mario, il papà di Papa Francesco!

La storia che segue ormai la conoscono quasi tutti. I Bergoglio si sono trasferiti prima ad Asti, dove già risiedevano e il primo di febbraio 1929 migrarono in Argentina!  Che dire, oltre alla pace, al senso di libertà, alla spiritualità, il Santuario del Todocco avvolge attorno a sé storie e curiosità che non aspettano altro di essere ascolatate

mercoledì 22 ottobre 2014

La maledizione di Villa Melano

…le nostre storie



LA MALEDIZIONE DEI MELANO




Villa Melano è situata in cima il centro storico della città di Rivoli, posta sul versante sud della collina morenica su cui si erge il Castello. Intorno a questo edificio corrono decine di storie e di leggende più o meno veritiere, ma quella che la maggior parte delle persone del luogo conosce è una sola. 

Villa Melano fu costruita intorno al ‘600 allo scopo di ospitare un monastero di frati francescani. In seguito all’ascesa di Napoleone nel nord Italia, la villa passò nelle mani di diversi proprietari, per poi finire in quelle dei Melano. La figlia dei Melano aveva 14 anni quando fu promessa sposa ad un nobile, ma l’intento della ragazza era tutt’altro. Si era infatti innamorata di un inserviente della villa, poco più grande di lei. I due innamorati si vedevano di nascosto nel boschetto limitrofo, finchè la fanciulla non rimase incinta. I Melano decisero allora di nascondere il figlio del peccato all’interno della loro abitazione, la figlia venne data in sposa al nobile e l’inserviente continuò il suo lavoro nella villa e poter veder così crescere la sua creatura. Il tutto perdurò fino a quando il bambino compì sette anni. Allora la famiglia capì che non avrebbero più potuto nasconderlo e decisero di impiccarlo nella torre, lasciando lì il corpo abbandonato. Un giorno, la giovane figlia tornò a far visita ai genitori e di nascosto salì fino alla torre dove vide il cadavere del proprio figlio. Scioccata, abbracciando il bimbo si buttò dalla finestra. L’inserviente assistette alla scena. Sui Melano non si hanno più notizie da quel giorno. Nulla, da nessuna parte! Alcuni pensano che fu proprio l’inserviente a sterminare l’intera famiglia, ma niente di certo.


Quel che invece è certo è che tutti quelli che hanno fatto visita alla villa giurano di aver udito e visto avvenimenti inspiegabili. Vi propongo una testimonianza di una studentessa che ha avuto il coraggio di addentrarsi nel luogo: 
Era un freddo pomeriggio invernale e decidemmo di sfidare il mistero entrando a Villa Melano, a Rivoli, disabitata ormai da secoli. La leggenda narra che la figlia del proprietario si suicidò e il suo spirito vaga ancora per la casa... si pensa inoltre che vengano svolte,qui, messe sataniche.
Arrivati sul posto, muniti di torce, imboccammo una stradina ciottolosa alla fine della quale si innalza un grosso cancello. L'intrico della vegetazione antistante l'ingresso della villa incute già un po' di soggezione e l'occhieggiare tra le piante di siringhe e lacci emostatici ci invitò a muoverci con prudenza.
Moltissimi sono i segni all'interno delle stanze che fanno pensare a qualcosa di inquietante: altarini posticci, disegni e scritte inneggianti il diavolo, porte squarciate da colpi di accetta, tracce di fuochi... la luce esterna filtrava attraverso le piccole finestre, i pavimenti erano disseminati di calcinacci, vetri rotti, foglie e altri detriti, mentre dalle pareti brandelli di tappezzeria, penzolavano come pelle strappata.
In una delle tante stanze dello stabile un'immagine su un muro bianco toglie il fiato: l'ombra di un bambino impiccato è rimasta fotoincisa nel muro stesso. Al piano inferiore, in cui si può accedere tramite una scaletta, osservammo disegni di sacrifici umani, orrendi diavoli, numeri magici e tutto intorno... carogne di animali uccisi, prevalentemente gatti sacrificati a qualche oscura divinità.
Attraversata la villa imboccammo il sentiero che si inoltra nella fittissima vegetazione sul retro della villa. Arrivammo alle cappelle bunker dove l'immagine di un uomo murato vivo è rimasta "graffiata" sulla parete. Ormai le tenebre erano calate e improvvisamente sentimmo un suono di tamburi avvicinarsi sempre di più. Presi dal panico, scappammo, ma anche se non abbiamo mai saputo cosa successe da quel giorno abbiamo deciso di non tornarci mai più. Ma se non mi credete andate a verificare voi stessi...


La testimonianza appartiene ad una studentessa e ciò non mi stupisce. Entrare a Villa Melano era una sorta di iniziazione, una prova di coraggio che dovevi affrontare per forza se frequentavi le vicine scuole superiori, le stesse in cui mi sono diplomato. Ho scelto di proporvi questa testimonianza e non la mia,in quanto i miei ricordi, non avendoli scritti subito, sono un po’ sbiaditi. Ma un brivido ha percorso il mio corpo quando la studentessa ha parlato del rumore dei tamburi. Quei tamburili ho sentiti chiaramente anch’io e direi che sono stati la prova che mi sconcertò di più. 
Ora nessuno studente potrà più fare quell’avventuroso giro. Villa Melano è stata ristrutturata, all’interno soprattutto. Ma sono convinto che non basti aver dipinto qualche parete e tappato qualche buco per far svanire la leggenda che aleggia intorno al luogo…

mercoledì 15 ottobre 2014

Mombaldone: la perla della Langa astigiana



MOMBALDONE: LA PERLA DELLA LANGA ASTIGIANA

Dove
Anche noi, come tutte le Regioni d’Italia, possiamo vantare di avere alcuni tra i borghi più belli del Paese. Forse non sarà la scelta o i parametri imposti da qualcuno a far cambiare le idee su un luogo o su un altro, ma sta di fatto che in ogni paesino in cui ci imbattiamo e che presenta il logo ‘I Borghi più belli d’Italia’, scatta in noi un qualcosa che va al di là della curiosità e si avvicina ad un senso di fierezza di aver conquistato un’altra meta tanto nascosta, quanto pregiata. E così è anche per questa perla incastonata nella langa astigiana, fuori dalle solite rotte, ma in realtà facente parte di una zona di piccoli gioielli. Parliamo di Mombaldone, 60 chilometri da Asti e 50 rispettivamente da Alessandria e da Savona, che con i suoi poco più di 200 residenti, di cui 12 stranieri, stando all’ultimo censimento, è entrata di diritto a far parte della ristretta cerchia di quei borghi di cui dobbiamo assolutamente conservare intatti i monumenti, le tradizioni, la storia.

Descrizione e Storia
Unico paese della langa astigiana ad aver conservato la cinta muraria originale, il nome Mombaldone deriva da MonsBoldus, dal germanico, ovvero ‘monte’.I primi documenti in cui si accenna a tale località risalgono al VI-VII secolo, in cui la zona risulta essere sotto il dominio longobardo. La storia ha radici antiche edè legata soprattutto alla famiglia ‘Del Carretto’. Ed è proprio a cavallo tra il duecento e il trecentoche la perla della langa astigiana cresce grazie a Enrico IV Del Carretto, marchese di Finale, che la dota di nuove abitazioni e di un pozzo.

Perché andarci
Oggi Mombaldone è un piccolo sogno. Una piccola, unica e principale strada che attraversa il borgo e ci permette di ammirare antiche abitazioni e un’unica piazza, Piazza Umberto I, su cui si affaccianol’oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano, costruito sul fossato del Castello nel 1764 e restaurato a metà degli anni ’90 del secolo scorso (oggi al suo interno vengono allestite mostre, si tengono riunioni, manifestazioni, convegni) e la chiesa parrocchiale di San Nicola, a pianta esagonale, risalente alla fine del XVIII secolo. Al suo interno possiamo ammirare tele settecentesche e soprattutto un enorme organo dei fratelli Collino! Non molto rimane purtroppo del Castello, parzialmente demolito nel 1637.
Il nostro consiglio è di visitare e passeggiare per il borgo soprattutto sul calar della sera, quando la luce del tramonto rende i vicoletti, le case, la piazzetta, i resti del castello e la pianura circostante di un colore intenso e creano quel senso di storica e positiva nostalgia difficile da dimenticare!

Curiosità
Una curiosità legata a Mombaldone che non tutti sanno, è che il Castello è ancora abitato. Da chi? Ovviamente dai discendenti dei Del Carretto, i signori di Mombaldone, che non governano più sul borgo, ma si occupano della sua conservazione.
E non lasciate questa splendida e piccola località senza aver pregustato un ottimo primo, come ad esempio i ravioli al plin, mentre per secondo la scelta è varia e va dal capretto di Langa, il montone grasso arrosto e il famoso e gustoso bollito con tanto di bagnét! Cosa aspettate?


mercoledì 8 ottobre 2014

Riflessioni di una giornata in montagna



RIFLESSIONI DI UNA GIORNATA PERFETTA
SOGNANDO UNA GITA IN MONTAGNA



No, non siamo tutti uguali. Percepiamo sensazioni differenti, viviamo momenti opposti, pensiamo in maniera completamente diversa. Ed è bello che così sia. Da piccoli, da ragazzi, da adulti, da anziani, cresciamo imparando e a modo nostro curiosando in più mondi, soffermandoci per più tempo in quello a noi più congeniale.
Io mi sono soffermato più di una volta nella ricerca della mia verità, in quella stanza buia in cui la luce era tutta da scoprire e in cui la mia passione doveva venire fuori sulle altre. Quale? Perché? Come catturarla? Sin da piccolo amavo guardare fuori dalla finestra e ammiravo quelle maestose montagne che dominano la valle in cui sono nato. Di quelle mi ero innamorato, ma ancora non lo sapevo. Avevo bisogno di viaggiare, scoprire altri itinerari, conoscere altri lidi per poi tornare. Ma non triste, solo più ricco di quella nuova consapevolezza nell’aver scoperto che da casa ero partito e da casa dovevo ripartire, ma questa volta nella scoperta di quel mondo che finalmente potevo fare mio, amavo, sognavo, spiavo.

La montagna è un po’ tutto questo per me, che appena posso fuggo da giornate lavorative, noiose, pacifiche, rumorose, straordinarie, per rifugiarmi in quell’essenza fatta di aria pura, piccoli sentieri, silenzi profondi, albe splendide e tramonti imperdibili. Amo ancora adesso alzarmi presto sapendo di poter vivere tutto questo, perché la montagna è vita, la montagna è viva!
E quando non posso amarla, la sogno, nei miei pensieri invernali, nelle lunghe giornate passate in coda nell’atteso di un semaforo verde, nei miei ricordi da bambino, quando da casa mia scrutavo quel paesaggio che credevo di possedere, ma che in realtà, nella sua immensità, non avrei mai potuto possedere del tutto.

C’è chi mi prende per matto, per paranoico, per un mezzo supereroe di non so quale fumetto, cartone, serie. Io sono me stesso ed in me stesso intendo emanciparmi nella continua certezza che quella poca vita che ho vissuto mi ha portato ad avere almeno la certezza di una piccola cosa: la passione per la montagna, d’estate con lunghe passeggiate alla ricerca di ruscelli, rifugi, alpeggi abbandonati ed in inverno, dove il sole si riflette in quell’incredibile colore bianco della neve.
Non è un rifugio, ma semplicemente un altro modo di intendere la semplicità della vita, c’è chi la domenica la trascorre al bar, chi in un centro commerciale, chi passeggiando su un lungomare! Io vado alla ricerca della mia strana solitudine, molte volte condivisa e impregnata di parole, frasi, chiacchiere, sfoghi, discorsi.